L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG) esprime la propria forte soddisfazione per l’obiettivo raggiunto dalla Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale dell’ampliamento dell’area sottoposta a vincolo paesaggistico nella Tuscia con specifico provvedimento di individuazione (artt. 136 e ss. del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.).
Con il D.M. 20 agosto 2019 circa 1.600 ettari di paesaggio ricchi di testimonianze storiche e archeologiche dell’agro di Viterbo, dalle dantesche sorgenti termali del Bulicame fino alle Masse di San Sisto, ora hanno uno strumento di tutela in più.
Il GrIG ha sostenuto e sostiene qualsiasi iniziativa istituzionale che possa portare a una migliore tutela di un paesaggio storico-culturale di eccezionale valore, quale quello della Tuscia.
La sentenza T.A.R. Lazio, RM, Sez. IIQ, 20 gennaio 2023, n. 1066 ha, infatti, respinto il ricorso dell’A.N.C.E. locale dichiarandolo inammissibile per difetto di legittimazione attiva e, conseguentemente, confermando la legittimità del provvedimento di tutela ambientale e paesaggistica.
Tale provvedimento – che ha incontrato anche la non sorprendente opposizione della Regione Lazio – riveste importanza fondamentale per cercare di governare con efficace salvaguardia dei valori ambientali/paesaggistici del territorio l’immane marèa di progetti di pura speculazione energetica che incombono e in parte sono già stati realizzati.
L’esempio dato dall’autentico Far West della speculazione energetica nella Tuscia rende palese la necessità di un efficace esercizio delle competenze statali e regionali di tutela del paesaggio, che significa anche tutela dell’identità storico-culturale e dell’attrattiva turistica dei territori.
Nella Tuscia, secondo dati non aggiornati, siamo di fronte ad almeno ben 51 progetti di campi fotovoltaici presentati, in parte approvati e solo in minima parte respinti, ormai svariate decine i progetti di centrali eoliche presentati o già in esecuzione: complessivamente circa 7 mila ettari fra aree occupate da impianti realizzati negli ultimi vent’anni, impianti in corso di realizzazione e impianti in corso di istruttoria.
Terreni talvolta affittati, altre volte espropriati per due soldi, talvolta nei demani civici.
Centinaia e centinaia di ettari di terreni agricoli e boscati stravolti dalla speculazione energetica, senza che vi sia alcuna assicurazione sulla chiusura di almeno una centrale elettrica alimentata da fonti fossili.
La realizzazione di questi progetti energetici snaturerebbe radicalmente alcuni dei più pregiati paesaggi agrari della Tuscia con pesanti impatti sull’ambiente e sui contesti economico-sociali locali. Stupisce, infatti, l’assenza di alcuna seria e adeguata analisi preventiva sugli impatti negativi anche sul piano economico-sociale di decine di migliaia di ettari di paesaggio storico della Tuscia sulle attività turistiche.
La Provincia di Viterbo negli ultimi anni è sempre stata ai non invidiabili vertici nazionali per il consumo del suolo per abitante (rapporto ISPRA sul consumo del suolo 2019), 1,91 metri quadri per residente rispetto alla media regionale di 0,47 e nazionale di 0,80.
Consumo del suolo che va in direzione opposta agli obiettivi tanto decantati della transizione ecologica.
Evidentemente poco importa il consumo del suolo, in fondo sono solo pascoli, terreni agricoli, roba così.
Il GrIG, insieme ad altre realtà ambientaliste e culturali, si oppone da anni alla speculazione energetica nella Tuscia (e non solo) con azioni legali e di sensibilizzazione.
Gli impianti produttivi di energia da fonte rinnovabile andrebbero ubicati in aree già degradate, in zone industriali, nonché con l’utilizzo dei tetti e coperture di edifici già esistenti.
Stop alla speculazione energetica, stop alla sottrazione delle terre collettive!
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
dal sito web istituzionale della Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale, 2 febbraio 2023
La campagna viterbese dichiarata di notevole interesse pubblico. Vincolo su 1600 ettari ‘adeguato’.
Respinto il ricorso al Tar del Lazio (con sentenza del 20 gennaio scorso) di Ance (l’Associazione Nazionale Costruttori Edili) che aveva contestato l’estensione del vincolo apposto dalla Soprintendenza su 1.600 ettari, tra il Bullicame alle Masse di San Sisto, chiedendone una riduzione. Troppo larga l’area individuata ad avviso dell’Associazione, che si è sentita lesa nei suoi interessi.
Nessun pregiudizio per il Tar da parte della Soprintendenza, che non ha leso gli scopi istituzionali dell’Ance.
Ed infatti ci sarà spazio per progetti di valorizzazione dell’area dal punto di vista agricolo, archeologico, termale, tanto che l’Ance non farà alcun contro-ricorso.
Ma vediamo più nel dettaglio i particolari del vincolo apposto e le motivazioni addotte dalla Sabap nel 2019.
“Questa Soprintendenza ha voluto tutelare una porzione della campagna viterbese che conserva ancora un insieme particolarmente armonico di elementi agricoli e naturali, estendendosi dalle località Bullicame e Riello, poste immediatamente a ridosso delle mura urbiche, alle Masse di San Sisto”.
Con tale motivazione è stata presentata la Dichiarazione di notevole interesse pubblico denominata “Dal Bullicame e Riello alle Masse di San Sisto” (DM del 25 luglio 2019, ai sensi dell’art. 136 comma 1, lettere c) e d) del D.lgs. 42/2004 e ss.mm.ii).
La tutela non è casuale: “è un territorio caratterizzato dalla compresenza di cospicui caratteri naturali e agrari, da rilevanti testimonianze storiche attestanti le diverse fasi d’uso susseguitesi dall’età pre-romana ad oggi”, si legge ancora nella motivazione.
Particolarmente connotanti “i pianori tufacei solcati da vallecole con corsi d’acqua a regime torrentizio e da banchi calcarei per la presenza di acque termo-minerali, tra cui le sorgenti del Bullicame, Carletti, Asinello e delle Masse di San Sisto”.
E poi, come non menzionare “le strade tagliate nel tufo come quella del Signorino e le necropoli della Collina di Riello, tra cui l’antico tracciato della via Cassia (in questa parte di territorio coincidente con il percorso medioevale della via Francigena)”?
Non dimentichiamo, infatti, che è proprio nel periodo medievale che la via Cassia fu denominata Francigena.
O, ancora, altre testimonianze (medioevali o dei secoli più recenti), che spesso attestano l’uso agrario di tale parte di campagna viterbese, sono casali e portali di orti sei-settecenteschi.
Invece, per quanto riguarda i resti di epoca romana, tracce del selciato originale sono ancora ben visibili e ben conservati, come quelli di ponti (come quelli di Camillario e di S. Nicolao), terrapieni e altre strutture dell’età.
Un contesto, in particolare quello della tagliata di strada Signorino (da Signorino Signorini, il nobile proprietario di queste terre), che ha fatto da scenografia al film del 1966 del regista Mario Monicelli, “L’armata Brancaleone”.
La Dichiarazione di notevole interesse pubblico è un ampliamento del vincolo di cui al D.M. 22/05/1985 e, nella Relazione generale del gennaio del 2019, ci si era soffermati nello specifico proprio sulla peculiarità della Strada Signorino. Quest’ultima è, con la strada Freddano, una delle più significative delle cosiddette “vie cave” o “tagliate”: strade ancora in uso, così chiamate perché scavate nei banchi tufacei.
Le due tagliate, non solo si diramano in altre ‘arterie’ minori, ma si uniscono, in località S. Nicolao, trasversalmente ad un’altra tagliata attraversata dall’antica via Cassia.
Quella del Signorino, lunga più di due km, spicca perché le sue pareti – alte in media 4/5 m – possono raggiungere anche i 10 m. Verosimilmente era l’antico percorso viario che, dalla zona costiera, passando per Castel d’Asso, arrivava sino all’insediamento etrusco sul colle del Duomo.
Nel tempo ha subìto interventi e ampliamenti, venendo adibita anche a cava di pozzolana (per questo nota anche come Cava di S. Antonio o di Gorga).
Lo stesso si verifica per la tagliata del Freddano, che si biforca nella strada dei SS. Valentino e Ilario, per ‘terminare’ sul promontorio dove nel Medioevo nacque l’omonimo centro abitato.
Ma se queste sono tutte ragioni valide per rendere l’area oggetto di salvaguardia e soggetta a tutela, non sono le sole.
Da citare, infatti, anche gli interventi di bonifica ad opera dell’ing. Lorenzo Tedeschi tra la fine dell’Ottocento e i primi del ‘900 nei suoi possedimenti in località Risiere.
Grazie ad un innovativo impianto di irrigazione alimentato da una piccola centrale idroelettrica autonoma detta ‘Officina Elettrica’.
Tedeschi, poi, suddivise anche il suo antico casale del Signorino (meglio noto come Villa Tedeschi), in tanti poderi su cui edificò altrettanti casali colonici.
Dunque, testimonianza storica, archeologica, civile e sociale al contempo dello sviluppo e dell’evoluzione di un paesaggio, ma anche di una cultura e – contemporaneamente – di un modello di città, infrastrutturale e di vivere.
N. 01066/2023 REG.PROV.COLL.
N. 12491/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 12491 del 2019, proposto da
Associazione Nazionale dei Costruttori Edili di Viterbo – Sezione Costruttori Edili, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Campagnola e Giuseppe Fiengo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della cultura, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Regione Lazio, non costituito in giudizio;
Comune di Viterbo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Principato, Andrea Genovese, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
per quanto di ragione previa sospensione e adozione di provvedimenti cautelari
del Decreto del 25.7.2019 (in G.U. n. 91 del 3.8.2019) relativo alla dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area costituente l’ambito “Dal Bullicame e Riello alle Masse di San Sisto” ai sensi dell’art.136. c.1, lett. c) e d) del D.Lgs. 42/2004 e ss.mm.ii;
di tutti gli atti connessi e coordinati con particolare riferimento:
– all’atto della Soprintendenza n. 898 del 16.1.20019 di avvio del procedimento:
– alla pubblicazione all’albo Pretorio della documentazione relativa avvenuta in data 28.1.2019;
– a tutti gli altri atti della procedura ancorché non conosciuti dalla Società ricorrente comprese le controdeduzioni alle osservazioni citate nelle premesse del Decreto: atto del 4.7.2019 n.14239, ma non diversamente descritti e/o menzionati
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Viterbo e del Ministero della cultura;
Visti gli artt. 35, co. 1, e 85, co. 9, cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2022 la dott.ssa Francesca Santoro Cayro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’odierna ricorrente (Sezione territoriale dell’Associazione Nazionale dei Costruttori Edili) deduce di aver partecipato al procedimento avviato dalla competente Soprintendenza per l’ampliamento del vincolo di tutela paesaggistica di cui al D.M. 22.5.1985, relativo ad una zona ubicata nel territorio di Viterbo, ivi formulando alcune osservazioni a tutela dei diritti e degli interessi dei propri iscritti.
In particolare, in quella sede l’A.N.C.E. di Viterbo evidenziava: l’eccessiva estensione del vincolo rispetto al fine perseguito; la mancata chiarezza nell’indicazione delle ragioni che rendessero imprescindibile l’ulteriore estensione del vincolo già insistente sull’area, tenuto anche conto delle previsioni di tutela contenute nel P.T.P e poi nel P.T.P.R. (quest’ultimo ancora in itinere al momento dell’avvio del procedimento); l’effetto di congelamento di tutte le iniziative di valorizzazione del comprensorio da tempo in corso; l’elisione della previsione del p.d.z. per l’edilizia economica e popolare, da tempo formato ed in corso di attuazione.
L’interessata formulava dunque le seguenti richieste, che la Soprintendenza, con atto del 4 luglio 2019, prot. 14229, procedeva in parte ad accogliere e in parte a respingere:
1) “significativa riduzione dell’area da assoggettare a vincolo, anche mediante più perimetrazioni di aree non contigue”, osservazione rispetto alla quale la Soprintendenza rappresentava che “La Dichiarazione di Notevole Interesse Pubblico riguarda un’area vasta complessivamente omogenea per valori paesaggistici ed aspetti naturali. La sua tutela è volta a favorire interventi di recupero ambientale e paesaggistico, atti a garantire la conservazione dell’integrità visiva del paesaggio, e preservare il contesto ambientale nel suo insieme. Lo stralcio di aree puntuali indebolirebbe l’obiettivo di tutela e salvaguardia posto creando un fattore di discontinuità e pregiudizio per la conservazione e valorizzazione del territorio”;
2) “mantenimento delle previsioni del PRG di Viterbo approvato e vigente, e dei Piani Particolareggiati regolarmente adottati, confermando le zonizzazioni del PRG previste, con zonizzazioni paesaggistiche compatibili”;
3) “disciplina del vincolo compatibile per le strutture termali esistenti ed il “Nuovo Polo Termale” in località Paliano classificando pertanto le aree interessate come “Paesaggio degli insediamenti in evoluzione”, ovvero, in subordine, in “Paesaggio Agrario di Continuità””, osservazione accolta con la motivazione che “Per ciò che attiene il termalismo questo si integra l’Elaborato 3 Norme, con una specifica disciplina d’uso cui si rimanda”;
4) “nuova zonizzazione paesaggistica sulle aree che il PRG individua già come aree edificabili riclassificandole, ad esempio, come “Paesaggio degli insediamenti in evoluzione” permettendo così l’attuazione delle previsioni del Piano Regolatore (e superando pertanto l’assurdità di non poter più edificare) con la garanzia comunque che, ricadendo esse all’interno del perimetro della Dichiarazione, qualsiasi intervento di trasformazione urbanistico-edilizia rimarrà sempre soggetto all’autorizzazione Paesaggistica e quindi alle eventuali condizioni che la Soprintendenza riterrà di dover prescrivere nella fase del procedimento”. Le osservazioni n 2) e 4) erano respinte dalla Soprintendenza con la motivazione che “il PRG non è fatto salvo dall’art. 62 delle Norme del P.T.P.R.”, essendo quest’ultimo strumento sovraordinato alla pianificazione urbanistica dei comuni ai sensi degli artt. 143 e 156 del codice, con la precisazione che “Sono fatti salvi i Piani di Zona già approvati e autorizzati per quanto di competenza da questo Ministero”;
5) “applicare la deroga prevista dall’art. 18 ter delle L.R. 24/98, nelle aree dove i Piani urbanistici del Comune prevedono finalità pubbliche (aree termali ricadenti in zone di concessione mineraria rilasciata dalla Regione Lazio; Piani di Zona per l’ERP; Azienda Agraria dell’Università della Tuscia…) (…) al fine di dare la possibilità di realizzare le cubature previste dagli strumenti urbanistici ferma restando sempre la possibilità da parte della Soprintendenza di intervenire con le prescrizioni ritenute necessarie, in quanto le aree ricadrebbero comunque perimetro del vincolo”, osservazione “parzialmente accolta” con la motivazione che “la richiesta non può essere accolta in questa sede aprioristicamente in assenza di specifici progetti che permettano la valutazione della compatibilità degli interventi. Sono fatti salvi i Piani di Zona già approvati e autorizzati per quanto di competenza da questo Ministero”.
Il procedimento si concludeva con l’emanazione del decreto del Ministro della cultura del 25 luglio 2019, pubblicato in G.U. n. 91 del 3.8.2019, recante la dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area denominata “Dal Bullicame e Riello alle Masse di San Sisto”, ai sensi dell’art.136. c.1, lett. c) e d) del D. Lgs. n. 42/2004.
2. L’ANCE di Viterbo è insorta avverso detto provvedimento, lamentando:
– la violazione degli art. 138 e ss. del D. Lgs. n. 42/2004 e 3 della l. 241/1990, con riferimento alle controdeduzioni formulate dalla Soprintendenza sull’osservazione n. 1), considerato che l’omogeneità dell’area – addotta quale circostanza ostativa alla possibilità di ridimensionare la proposta – costituiva circostanza già nota alla medesima Autorità nel momento in cui la stessa aveva reso il suo parere nell’ambito dei provvedimenti di pianificazione e programmazione, non ultimi quelli di approvazione del P.R.G. e del P.T.P. (oltre che nell’ambito dell’iter di elaborazione del P.T.P.R., all’epoca ancora in corso di definizione, il quale recava una disciplina di utilizzazione dell’area conforme e compatibile), né sarebbe possibile evincere, dalle affermazioni fondative del vincolo, alcun elemento nuovo e sopraggiunto;
– la violazione degli artt. 143 e segg. e 145 del D. Lgs. n. 42 del 2004, nonché vizio di straripamento e sviamento, lesione degli affidamenti reciproci e del principio di leale cooperazione tra Enti pubblici ex artt. 97 Cost. e 117 e ss. Cost, con riferimento alle controdeduzioni alle osservazioni n. 2) e 4), che oblitererebbero la circostanza che il P.T.P.R. in corso di approvazione recava già disposizioni sufficienti a garantire la tutela del sito, e avendo dovuto la Soprintendenza operare d’intesa con la Regione nell’ambito di quel procedimento, in luogo dell’unilaterale imposizione di un nuovo vincolo, in via autonoma e autoritativa. La ricorrente si duole anche che la precisazione che fa salvi i piani di Zona già approvati e autorizzati non può comunque ritenersi satisfattiva dell’interesse manifestato dall’Associazione (che invece richiedeva lo stralcio delle relative aree dal vincolo), atteso che, dovendo i singoli interventi essere approvati in riferimento al vincolo sopravvenuto, nessuno di essi potrà più effettuarsi, lamentando sotto questo profilo vizio di eccesso di potere per contraddittorietà, difetto di interesse pubblico e confusione, nonché violazione dell’art. 3 della l. n 241 del 1990;
– la violazione degli artt. 138 e segg. del D. Lgs. n. 42 del 2004 ed eccesso di potere per straripamento e difetto di interesse pubblico quanto alla motivazione sottesa all’accoglimento dell’osservazione sub 3), avendo l’ANCE chiesto un mutamento della classificazione delle aree in “paesaggio degli insediamenti in evoluzione” ovvero in subordine in “Paesaggio Agrario di Continuità”, non recepita, mentre gli elaborati richiamati dalla Soprintendenza prevedono e autorizzano la realizzazione di interventi pressoché inesistenti e tali, comunque, da risultare impeditivi di un uso effettivo delle terme, abbisognando queste, nell’attualità, di adeguate strutture ricettive e di gestione;
– l’ambiguità e contraddittorietà dell’atto quanto alla controdeduzione resa sull’osservazione n. 5), che è stata parzialmente accolta, ma con risposta comunque incongrua;
– la violazione dell’art. 138 e segg. del D. Lgs. n. 42 del 2004 per inversione e alterazione dell’iter procedimentale, in ragione della circostanza che la proposta della Soprintendenza era stata pubblicata in data antecedente all’acquisizione del parere della Regione;
– l’inesistenza dei presupposti effettivi alla base del nuovo vincolo, atteso che in sede di elaborazione del P.T.P.R. la Soprintendenza (pur avendo partecipato al relativo procedimento) non aveva mai manifestato l’esistenza di ragioni che implicassero la necessità di estendere la tutela già prevista con il D.M. del 1985 e recepita nel P.T.P.;
– il grave vulnus ai principi di buona fede e affidamento, essendo il vincolo in contrasto con gli atti di pianificazione e programmazione già adottati dalle competenti Autorità.
3. Il Ministero della cultura si è costituto in giudizio e, con memoria del 26 settembre 2020, ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione ad agire in capo alla ricorrente, nonché ancora per difetto di specificità dei motivi in violazione dell’art. 40, comma 1, lett. d) c.p.a., e comunque chiedendone il rigetto nel merito.
4. L’udienza di discussione del ricorso, inizialmente calendarizzata per il giorno 21 aprile 2020, è stata rinviata al 27 ottobre 2020, e in quell’occasione è stata disposta la cancellazione della causa dal ruolo su istanza di parte, avendo essa rappresentato l’esistenza di trattative in corso con la Soprintendenza.
5. In data 12 luglio 2021 la ricorrente ha poi presentato nuova istanza di fissazione di udienza, la quale è stata fissata per il 1° febbraio 2022 e poi nuovamente rinviata al 19 dicembre 2022 su istanza di parte (in ragione delle perduranti trattative tra la Soprintendenza e la soc. Free Time, che aveva spiegato impugnative aventi il medesimo oggetto e pendenti dinanzi a questo Tribunale sub R.G. n. 12490/2019, n. 2872/2020 e n. 9019/2021).
6. In data 11 gennaio 2022 si è costituito in giudizio il Comune di Viterbo, associandosi alla richiesta di annullamento dell’atto impugnato.
7. Con atto depositato in data 17 novembre 2022, l’ANCE di Viterbo ha chiesto la cancellazione della causa dal ruolo, per le ragioni rappresentate dalla Free Time nelle analoghe istanze presentate nei tre giudizi di cui sopra.
8. In occasione della pubblica udienza del 19 dicembre 2022, il Presidente ha disposto che venisse dato atto, a verbale, dell’insussistenza degli estremi per accogliere l’istanza di rinvio formulata dalla parte ricorrente “tenuto conto che l’esame nel merito della causa è già stato rinviato, insieme a quello dei ricorsi connessi, più volte e che non sussistono ragioni eccezionali come richiesto dall’art. 73, comma 1 bis c.p.a.”, con la conseguenza che il ricorso è stato trattenuto in decisione.
9. Il collegio deve farsi carico di scrutinare, in via pregiudiziale, l’eccezione di inammissibilità dell’impugnativa per difetto di legittimazione attiva in capo all’odierna ricorrente, sollevata dalla difesa ministeriale.
L’eccezione è fondata.
Come noto, per costante giurisprudenza, la legittimazione ad agire in capo alle organizzazioni di categoria richiede che siano impugnati provvedimenti lesivi degli “interessi istituzionalmente perseguiti dall’associazione”, e non anche di singoli iscritti, posta l’ontologica irriducibilità dell’interesse collettivo perseguito dall’ente collettivo con “la mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati” (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. VII, 23 maggio 2022, n. 4072, che, nel richiamare il principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria nella sentenza 20 febbraio 2020, n. 6, precisa che “l’interesse collettivo facente capo all’ente esponenziale è quello che eccede la sfera dei singoli per assumere una connotazione condivisa e non esclusiva, quale interesse di “tutti” in relazione ad un bene dal cui godimento individuale nessuno può essere escluso, ed il cui godimento non esclude quello di tutti gli altri”, poiché esso si trova allo stato diffuso “nella comunità o nella categoria”, per poi individualizzarsi nel “soggetto collettivo, strutturato e rappresentativo” che ne assume istituzionalmente la tutela (ancora di recente nello stesso senso: Cons. Stato, III, 19 aprile 2022, n. 2900)”).
In particolare, in punto di incidenza degli effetti del provvedimento gravato sugli scopi statutari dell’associazione, la medesima Adunanza Plenaria ha ulteriormente chiarito che “Nel processo amministrativo la legittimazione attiva (…) di associazioni rappresentative di interessi collettivi obbedisce a regole stringenti, essendo necessario che la questione dibattuta attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione e, cioè, che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale, e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati. Resta quindi preclusa ogni iniziativa giurisdizionale che non si riverberi sugli interessi istituzionalmente perseguiti dall’associazione, sorretta dal solo interesse al corretto esercizio dei poteri amministrativi o per mere finalità di giustizia, finalizzate esclusivamente alla tutela di singoli iscritti, atteso che l’interesse collettivo dell’associazione deve identificarsi con l’interesse di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata e non con la mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati”, con la conseguenza che “Per autorizzare l’intervento di un’associazione esponenziale di interessi collettivi occorre, quindi, un interesse concreto ed attuale (imputabile alla stessa associazione) alla rimozione degli effetti pregiudizievoli prodotti dal provvedimento controverso” (cfr. sentenza del 9 novembre 2021, n. 18, punto 10.2).
Nel caso di specie, l’odierna ricorrente (Sezione territoriale dell’Associazione Nazionale dei Costruttori Edili) si è limitata a rappresentare, in via del tutto generica, che, tra i propri compiti istituzionali, annovera “quello di coadiuvare i propri iscritti e tutelarne i diritti e gli interessi anche a mezzo della partecipazione ai procedimenti amministrativi quale titolare di interessi categoriali e della conseguente, eventuale, impugnazione degli atti amministrativi e dei provvedimenti avanti le giurisdizioni competenti”, e in tale qualità sarebbe intervenuta nel procedimento avviato su proposta della Soprintendenza e culminato nell’adozione della dichiarazione di notevole interesse pubblico di al D.M. 25 luglio 2019, gravato con il presente ricorso.
Tuttavia, non è stato versato in atti lo Statuto dell’A.N.C.E. ovvero ulteriore documentazione che comprovi i fini statutari dell’associazione, né è stato meglio precisato in che termini il provvedimento ministeriale lederebbe effettivamente gli interessi di categoria, salvo vaghi riferimenti ad un’asserita impossibilità di effettuare, allo stato, interventi costruttivi nell’area interessata dal vincolo di tutela (con particolare riferimento aipiani di zona già approvati e autorizzati, rispetto ai quali si registrerebbe, in tesi, lo svilimento degli interessi di carattere pubblico sottesi all’edilizia residenziale convenzionata e sovvenzionata), lamentando inoltre la preclusione alla realizzazione delle iniziative relative all’area termale, con conseguente impedimento ad un uso effettivo.
Tale affermazioni risultano del tutto generiche e assertive, non consentendo dunque di ravvisare le rigorose condizioni cui la giurisprudenza àncora la legittimazione attiva del soggetto collettivo.
In particolare, non solo non è possibile riscontrare effettivamente quali siano i fini statutari perseguiti dalla ricorrente né quale sia l’articolazione dei compiti tra l’associazione nazionale e le sue articolazioni territoriali (anche in disparte la questione circa la legittimazione ad agire in capo a queste ultime, che l’Avvocatura dello Stato contesta), ma nemmeno è stato efficacemente dimostrato in che misura il provvedimento colliderebbe effettivamente con quelle finalità.
Il decreto ministeriale, infatti, impone un vincolo di tutela su una determinata area del viterbese (in ampliamento di un vincolo preesistente), con la precipua finalità di salvaguardare i rilevanti valori paesaggistico-ambientali espressi da quel territorio: tale provvedimento semmai (ed eventualmente) arrecherebbe un pregiudizio unicamente agli interessi dei soggetti titolari di lotti inclusi in tale area, nella misura in cui osterebbe alla realizzazione dei loro propositi edificatori (salvo poi verificare, in concreto, in che termini questo effettivamente avvenga, atteso che, dal tenore delle controdeduzioni formulate dalla Soprintendenza in sede procedimentale, non sembrerebbe che le iniziative già approvate – tra cui quelle di edilizia economica – siano definitivamente abortite).
Non emerge, dunque, alcun pregiudizio concreto, diretto e immediato, e dunque specifico, agli interessi dell’intera categoria dei costruttori edili, di cui la ricorrente si è fatta portavoce.
Né assume rilievo la circostanza che l’associazione abbia partecipato al procedimento culminato nell’adozione del decreto ministeriale oggi gravato, presentando le proprie osservazioni sulla proposta di vincolo della Soprintendenza.
Alla luce del consolidato indirizzo giurisprudenziale, infatti, la legittimazione ad agire non può discendere automaticamente dalla pregressa partecipazione procedimentale, atteso che quest’ultima, a differenza della prima, può trovare piena giustificazione in una finalità collaborativa, che non presuppone la titolarità di una posizione giuridica qualificata e differenziata, requisito necessario, invece, per riconoscere in capo a chi agisce la legittimazione processuale (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 22 gennaio 2018, n. 394, nonché Cons. Stato, Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3824; significativo, poi, è quanto argomentato da Cons. Stato, Sez. IV, 7 settembre 2022, n. 7799, che, proprio con riferimento alla legittimazione generale degli enti esponenziali in ordine alla tutela degli interessi collettivi dinanzi al giudice amministrativo, ha precisato che “(Non) può essere ritenuto sufficiente a tal fine la presentazione di osservazioni agli strumenti urbanistici, non potendosi desumere automaticamente la legittimazione ad agire dalla legittimazione procedimentale. La partecipazione procedimentale (v. art. 9 della L. n. 241 del 1990), da sola, non è in grado di ingenerare la sussistenza della condizione dell’azione nel processo”).
Pertanto, difetta, in capo alla parte, la legittimazione attiva, con conseguente inammissibilità del ricorso.
10. Le spese di lite seguono la soccombenza e solo liquidate a favore del Ministero della cultura nella misura fissata in dispositivo, mentre possono essere compensate nei confronti del Comune di Viterbo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per le ragioni evidenziate in parte motiva.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite a favore del Ministero della cultura, che liquida in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge. Compensa le spese nei confronti del Comune di Viterbo.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2022 con l’intervento dei magistrati:
Donatella Scala, Presidente
Mario Alberto di Nezza, Consigliere
Francesca Santoro Cayro, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Francesca Santoro Cayro | Donatella Scala | |
IL SEGRETARIO
pubblicata il 20 gennaio 2023
(immagine da Google Earth, foto per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)