Pronuncia di rilevante interesse da parte della Corte di cassazione in materia di requisiti per la sanatoria delle opere abusive e la conseguente eventuale revoca dell’ordine di demolizione.
La Suprema Corte, con la sentenza Cass. pen., Sez. III, 5 luglio 2024, n. 2024, ha autorevolmente rammentato che “la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all’art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a precludere l’irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva previsto dall’art. 31, comma 9, del medesimo d.P.R. e a determinare, se eventualmente emanata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, la revoca di detto ordine, può essere solo quella rispondente alle condizioni espressamente indicate dall’art. 36 del decreto stesso citato, che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria ‘giurisprudenziale’ o ‘impropria’, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica, per cui, non essendo configurabile nel caso di specie la contestuale sussistenza di tali requisiti in ragione delle pertinenti argomentazioni dell’ordinanza impugnata prima sintetizzate, legittimamente è stata disattesa la richiesta di revoca dell’ordine di demolizione”.
Soltanto il rispetto delle esplicite condizioni di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i., quindi, e il principio della c.d. doppia conformità urbanistico-edilizia possono consentire – sempre che ricorrano le altre condizioni – il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria e la revoca dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva.
Si ricorda che nell’ordinamento non è contemplata la c.d. sanatoria condizionata, ma deve essere sempre riscontrabile “ai fini del rilascio della autorizzazione in sanatoria, che l’opera realizzata sia caratterizzata dalla cosiddetta ‘doppia conforme’, cioè alla conformità agli strumenti edilizi vigenti del manufatto edificato sia al momento della sua realizzazione sia al momento in cui la autorizzazione, postumamente richiesta, venga rilasciata (in tale senso, cfr.: Corte di cassazione, Sezione III penale, 12 novembre 2019, n. 45845)” (Corte cass., Sez. III, 9 maggio 2023, n. 19423).
Principi, criteri, limiti ben chiari a tutela del territorio.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 11 luglio 2024
Cass. Sez. III n. 26535 del 5 luglio 2024 (CC 20 mar 2024)
Pres. Ramacci Rel. Zunica Ric. Baiocco
Urbanistica. Demolizione e sanatoria
In tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all’art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a precludere l’irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva previsto dall’art. 31, comma 9, del medesimo d.P.R. e a determinare, se eventualmente emanata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, la revoca di detto ordine, può essere solo quella rispondente alle condizioni espressamente indicate dall’art. 36 del decreto stesso citato, che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria “giurisprudenziale” o “impropria”, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica, per cui, qualora non sia configurabile la contestuale sussistenza di tali requisiti legittimamente può essere stata disattesa la richiesta di revoca dell’ordine di demolizione.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 12 gennaio 2023, il Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Ischia, quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta nell’interesse di Paolo Baiocco e Antonio Baiocco, quali legali rappresentanti succedutisi nel tempo della Mary Garden s.r.l., istanza finalizzata alla revoca e/o sospensione dell’ordine di demolizione emesso in esecuzione della sentenza di patteggiamento resa il 15 novembre 2003, irrevocabile il 15 dicembre 2003 dal Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Ischia, nei confronti di Paolo Baiocco per le opere realizzate sul compendio immobiliare a destinazione turistico-recettiva, denominato Central Park Hotel Terme, sito in Ischia alla via Variopinto.
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale, Paolo Baiocco e Antonio Baiocco, tramite il loro comune difensore e procuratore speciale, hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
Con il primo, la difesa deduce la violazione dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 e il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, rispetto alla possibilità per i ricorrenti di conseguire il titolo abilitativo postumo, possibilità indebitamente esclusa dal giudice dell’esecuzione, che avrebbe in tal senso ignorato la memoria difensiva, la documentazione ad essa allegata e il parere pro veritate del prof. Sebastiano Conte, con cui era stato evidenziato che le opere oggetto dell’istanza di accertamento di conformità costituiscono un mero abuso formale pacificamente sanabile, avendo la Soprintendenza già valutato la compatibilità paesistica dello incremento volumetrico rispetto al contesto circostante oggetto di tutela, tanto più ove si consideri che il compendio immobiliare, situato in zona R.U.A. del vigente Piano Paesistico entrato in vigore successivamente alla realizzazione delle opere, ben potrebbe formare oggetto di intervento di recupero edilizio nell’ambito del quale il Piano Paesistico consente l’incremento volumetrico fino al 20% della consistenza preesistente, mentre la volumetria ad oggi sprovvista di titolo edilizio è decisamente inferiore alla consistenza assentibile.
Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è la mancata attivazione, da parte del giudice dell’esecuzione, degli ampi poteri riconosciuti dall’art. 666, comma 5, cod. proc. pen., che pure erano stati sollecitati dalla difesa, essendo stato chiesto, laddove fossero residuati dubbi, di escutere i tecnici comunali De Angelis e Scotti che parteciparono al sopralluogo da cui ebbe origine il sequestro del 2001 ad opera dei C.C. della Stazione di Ischia, nonché dei testi D’Italia e Silvetti, che avrebbero potuto riferire sull’epoca di realizzazione dei manufatti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché manifestamente infondati.
1. Premesso che i due motivi di ricorso, tra loro sovrapponibili, sono suscettibili di trattazione unitaria, deve osservarsi che l’ordinanza impugnata non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede, avendo il giudice dell’esecuzione ripercorso adeguatamente le tappe salienti dell’odierna vicenda, rimarcando la insussistenza dei presupposti per la sanatoria postuma degli abusi edilizi sottesi all’emanazione dell’ordine di demolizione, avendo peraltro l’amministrazione comunale rigettato la domanda di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 con provvedimento del 13 dicembre 2022. In ogni caso, il giudice dell’esecuzione, all’esito di una disamina non manifestamente illogica delle fonti dimostrative disponibili, ha altresì sottolineato la scarsa chiarezza in ordine all’incremento volumetrico realizzato, le cui oscillazioni presenti negli stessi scritti difensivi risentono anche dell’inserimento di volumetrie non oggetto del permesso in sanatoria n. 69 del 29 dicembre 2017, costituendo il manufatto, nella sua attuale consistenza, il prodotto di una stratificazione di interventi abusivi, per cui, alla stregua delle stesse allegazioni difensive (parere del prof. Conte e relazione tecnica del geometra Committante allegata alla memoria dell’11 gennaio 2023), non poteva ritenersi adeguatamente comprovato né comunque univoco il rispetto sia del limite quantitativo indicato nelle norme del P.R.G. del Comune di Ischia (che consente la realizzazione degli interventi nella misura inferiore al 20% del volume utile esistente e legittimamente eseguito), sia dell’ulteriore limite temporale di realizzazione delle opere, non essendo certo che tutte le opere oggetto della richiesta ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 fossero realmente antecedenti all’approvazione del Piano Territoriale Paesistico avvenuta nel 1999.
A ciò deve solo aggiungersi che il citato permesso in sanatoria n. 69 del 29 dicembre 2017, riferito alla domanda di condono presentata il 1° marzo 1995 ex lege n. 724 del 1994, è stato già disapplicato dal giudice dell’esecuzione in altro procedimento definito con ordinanza del 3 giugno 2021, ordinanza impugnata dinanzi a questa Sezione, che ha dichiarato inammissibili i ricorsi degli odierni ricorrenti con sentenza n. 47300 del 30 novembre 2021, nella quale è stata evidenziata la carenza dei presupposti oggettivi di operatività del condono.
2. Ciò posto, nell’ordinanza impugnata in questa sede è stato ricordato che il parere favorevole della Soprintendenza e l’autorizzazione paesaggistica del 2017 erano stati resi nell’ambito della procedura di condono esitata con il provvedimento amministrativo ritenuto illegittimo, per cui di tali atti non poteva tenersi conto, fermo restando che gli stessi sono comunque non dirimenti nell’ottica dell’invocato accertamento in conformità, dovendosi sul punto richiamare l’affermazione costante di questa Corte (cfr. ex multis Sez. 3, n. 45845 del 19/09/2019, Rv. 277265 e Sez. 3, n. 7405 del 15/01/2015, Rv. 262422), secondo cui, in tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all’art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a precludere l’irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva previsto dall’art. 31, comma 9, del medesimo d.P.R. e a determinare, se eventualmente emanata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, la revoca di detto ordine, può essere solo quella rispondente alle condizioni espressamente indicate dall’art. 36 del decreto stesso citato, che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria “giurisprudenziale” o “impropria”, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica, per cui, non essendo configurabile nel caso di specie la contestuale sussistenza di tali requisiti in ragione delle pertinenti argomentazioni dell’ordinanza impugnata prima sintetizzate, legittimamente è stata disattesa la richiesta di revoca dell’ordine di demolizione.
Resta solo da precisare che, in presenza di un contesto normativo e di un quadro documentale sufficientemente chiari, non può rimproverarsi al giudice dell’esecuzione la mancata attivazione dei propri poteri di integrazione probatoria, risolvendosi i “dubbi” evocati nel ricorso circa la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della domanda di accertamento in conformità in un dissenso valutativo rispetto al percorso argomentativo del provvedimento impugnato, dissenso valutativo che tuttavia esula dal perimetro del giudizio di legittimità.
3. In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze proposte, i ricorsi proposti nell’interesse di Paolo Baiocco e Antonio Baiocco devono essere dichiarati pertanto inammissibili, con conseguente onere per ciascuna ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che ciascuna ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/03/2024
(foto S.D., archivio GrIG)