Quel “nuovo nucleare” che torna ad attirare l’Italia, tra rischi e incognite

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Abbandonato dopo il referendum del 1987, riproposto tra 2008 e 2011 dal quarto governo Berlusconi (Claudio Scajola, allora ministro dello Sviluppo economico, pensava di realizzare 10 nuove centrali), il nucleare in Italia sta tornando nelle discussioni energetiche con il governo Meloni.

Sono appena arrivate due spinte verso una ripresa del dibattito sul nucleare, una industriale e l’altra politica, con la mozione presentata alla Camera da Forza Italia.

Ma sono spinte, come vedremo tra poco, che devono fare i conti con i tanti, troppi rischi e incertezze che circondano tutto ciò che si fa entrare nella definizione di “nuovo nucleare”, a partire dal dove costruire impianti e depositi di scorie e con quali tempi e costi, senza dimenticare i problemi – tanti anche loro – del nucleare esistente.

La spinta industriale è la lettera di intenti firmata da Edf, Edison, Ansaldo Energia e Ansaldo Nucleare “per collaborare allo sviluppo del nuovo nucleare in Europa e favorirne la diffusione, in prospettiva anche in Italia” (neretti nostri), con la possibilità di avere i primi reattori tra una decina di anni.

Il loro obiettivo è valorizzare le “competenze” della filiera industriale italiana nel settore, a supporto dei progetti del colosso francese Edf, avviando allo stesso tempo “una riflessione sul possibile ruolo del nuovo nucleare nella transizione energetica in Italia”.

Il focus è sui piccoli reattori modulari SMR Nuward (Small modular reactor). Edf e Ansaldo Nucleare, spiega una nota congiunta, hanno recentemente firmato anche un primo contratto per la fornitura di studi di ingegneria per questo tipo di reattori.

Secondo Nicola Monti, amministratore delegato di Edison, “il nuovo nucleare è complementare allo sviluppo delle fonti rinnovabili e può rappresentare una soluzione concreta a supporto degli obiettivi di neutralità carbonica al 2050, contribuendo all’indipendenza energetica del sistema europeo”.

Gli impianti SMR Nuward proposti da Edf prevedono due reattori di terza generazione ad acqua pressurizzata da 170 MW elettrici, per una potenza complessiva di 340 MW.

Si tratta, spiega la società francese sul suo sito web, di una soluzione flessibile per diverse esigenze, non solo la produzione di elettricità, ma anche di energia termica (ad esempio per reti di teleriscaldamento) e di idrogeno. Quindi avrebbe possibili applicazioni anche per alimentare distretti industriali a elevato consumo energetico.

Inoltre, è una tecnologia pensata per essere prodotta in serie direttamente in fabbrica, non in situ come avviene con i grandi reattori atomici, e ciò consentirebbe, secondo Edf, di avere chiarezza su costi e tempistiche. Ma è proprio sui costi e le tempistiche che finora non ci sono informazioni precise. Nella nota non si fa cenno alle date, ma Nicola Monti, parlando ai giornalisti, ha riferito che in Italia i primi reattori SMR potrebbero arrivare intorno al 2030-2035.

La spinta politica al nucleare, come detto, è la mozione presentata alla Camera da un gruppo di deputati di Forza Italia, tra cui il responsabile energia del partito, Luca Squeri.

Forza Italia, ricordiamo, insieme alla Lega, è il partito della maggioranza che sostiene con più convinzione il ritorno italiano al nucleare (anche Azione di Carlo Calenda è su questa linea), mentre il partito di Giorgia Meloni finora è stato più cauto (si vedano anche le nostre interviste ai partiti per la campagna elettorale 2022).

La mozione, in particolare, impegna il governo “a partecipare attivamente, in sede europea e internazionale, a ogni opportuna iniziativa, sia di carattere scientifico che promossa da organismi di natura politica, volta ad incentivare lo sviluppo delle nuove tecnologie nucleari (IV generazione, fusione nucleare) destinate alla produzione di energia per scopi civili. Per tali motivi è opportuno continuare a investire in ricerca e sviluppo, tramite l’implementazione di partnership internazionali pubbliche e private” (neretti nostri).

I firmatari sostengono che “una strategia credibile per l’Italia dovrebbe puntare, nel breve periodo, su piccoli reattori di terza generazione; nel medio, invece, su reattori di quarta generazione, e nel lungo periodo, sulla tecnologia di fusione”.

Tra i piccoli reattori di III generazione rientrano appunto gli SMR Nuward proposti da Edf, al centro della lettera di intenti siglata dalla stessa Edf con Edison e Ansaldo.

Per quanto riguarda la fusione nucleare, ricordiamo che siamo ancora lontanissimi da possibili applicazioni reali a scopi civili, dopo decenni di ricerche e annunci in questo campo, mentre la tecnologia di quarta generazione è ancora allo stadio di prototipo (per approfondire si veda Fusione nucleare, perché la svolta annunciata non è quello che sembra).

Però anche il nucleare esistente ha grandi problemi, così come quello in corso di realizzazione.

Emblematico è proprio il caso francese. La Francia, nel 2022, per la prima volta dopo oltre 40 anni, è diventata un importatore netto di energia elettrica. Tra le cause principali si annovera la limitata produzione del parco nucleare, dovuta a manutenzioni, problemi tecnici e ondate di calore estive. Buona parte dei reattori è rimasta indisponibile lo scorso anno, aggravando un bilancio energetico già messo in difficoltà dalla crisi energetica e dalla siccità.

Il gestore della rete di trasmissione elettrica francese, RTE, nel suo bilancio sul mercato elettrico 2022, ha evidenziato che il parco nucleare nazionale ha avuto una disponibilità media a produrre del 54% contro una media del 73% nel periodo 2015-2019.

La produzione è stata di 279 TWh (63% del mix di generazione francese), contro i 360 TWh del 2021.

Intanto Edf continua ad avere enormi ritardi per la messa in esercizio del reattore Epr 3 da 1.600 MW a Flamanville, che dovrebbe essere completato nel 2023, salvo ulteriori posticipi; oltre dieci anni in ritardo sulla tabella di marcia iniziale e con un costo quadruplicato a quasi 13 miliardi di euro.

La Francia nei giorni scorsi ha poi lanciato un’iniziativa per aumentare la cooperazione industriale europea in campo atomico; il gruppo di aderenti comprende altri dieci Stati membri Ue che sono Bulgaria, Croazia, Ungheria, Finlandia, Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e Slovenia.

Tuttavia il nostro Paese ha declinato questo invito e il ministro della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha ricordato che l’Italia non può sedersi a un tavolo sul nucleare “prima di aver affrontato e risolto a livello parlamentare e giuridico il divieto di generare energia nucleare nel territorio nazionale, sancito e ribadito dalla volontà popolare”.

In sostanza, i punti interrogativi sul nuovo nucleare sono tanti – costi, tempi, dove fare gli impianti, come gestire le scorie – mentre ci sono alternative molto più veloci, sicure ed economiche per fare una transizione energetica sostenibile, con fonti rinnovabili e sistemi di accumulo in prima linea.

La partita italiana dovrebbe giocarsi su quest’ultimo terreno, rimuovendo gli ostacoli, prima di tutto la lentezza delle autorizzazioni a nuovi impianti eolici e solari, anziché fantasticare su un futuro nucleare irto di incognite.

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