“Ci hanno colpito senza ritegno anche se avanzavamo in modo pacifico e con le mani alzate, senza scudi e senza armi. Ci tiravano le ginocchiate sotto per non farsi filmare dai giornalisti. Io mi sono anche beccato un cazzotto in pieno naso gratuitamente e una manganellata di punta sulle costole”. Daniele, 26 anni, fa parte di Extinction Rebellion Italia ed è uno delle migliaia di climattivisti che ha partecipato alle proteste in difesa di Lützerath, il piccolo villaggio sul Reno che la polizia tedesca sta evacuando per fare spazio a una miniera di lignite, voluta dal colosso dell’energia Rwe. “Un’esperienza di attivismo e di condivisione unica e insieme un’ingiustizia e una violenza assurda”, racconta anche Lorenzo Masini, 26enne di Scientist Rebellion. Negli ultimi due anni infatti questo Paese “aggrappato sull’orlo di un buco di chilometri” ha ospitato una comunità autogestita di migliaia di ambientalisti di tutte le età e parti d’Europa. È diventato così il simbolo della resistenza “al consumismo, al carbone, al potere e al capitalismo fossile”. Dall’inizio degli sgomberi fino alla marcia del 14 gennaio, è stato anche il teatro di durissimi scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine.
Le immagini delle proteste di sabato, alle quali ha partecipato anche la fondatrice di Fridays for Future Greta Thunberg, hanno fatto il giro di giornali e tv. La marcia è partita a mezzogiorno sotto la pioggia dal campeggio autorizzato in una località vicina. “Eravamo 35mila (10mila secondo le stime della polizia di Aquisgrana, ndr) e siamo arrivati per la prima volta fino alla zona recintata del villaggio. È stato un momento davvero potente”, racconta Cecilia Fiacco, 20 anni, che studia a Berlino ma fa parte di Fridays Milano. Ad accogliere i manifestanti alle porte di Lützerath però i manifestanti hanno trovato la polizia in tenuta antisommossa, “con scudi, cannoni ad acqua e spray al peperoncino. Gli agenti a cavallo hanno iniziato a passare tra la folla con i manganelli alzati – dice Fiacco – Il nostro gruppo era variopinto, c’era gente che non sapeva cosa aspettarsi. Per fortuna non ci sono stati feriti gravi, ma ho visto diverse persone portate via in barella”.
Alcuni degli attivisti, per difendersi, “hanno lanciato pezzi di fango. Non erano pietre, il terreno era troppo bagnato e si sfaldavano in aria – spiega Masini – Non c’erano i black bloc, come ha detto in conferenza stampa la polizia, solo alcune persone che erano vestite di nero. Non ho visto poi razzi. Al massimo qualcuno aveva dei fuochi d’artificio”. Il cordone è riuscito ad arrivare fin quasi ai cancelli, con le mani alzate in segno di pace, “nonostante le cariche, i calci, i pugni”, aggiunge l’ambientalista di Scientist Rebellion. Lì la polizia però aveva schierato diverse camionette, “quindi stanchi e pieni di botte diversi di noi sono tornati a casa”. Proprio sulla via per il campeggio, “quando la luce era calata e la maggior parte di giornalisti se ne era andata sono iniziate a succedere cose senza senso”, dice il 26enne. “Abbiamo visto un attivista che veniva inseguito. Un’altra ha messo una transenna in mezzo al cammino per rallentarli – racconta Daniele di Xr – Gli agenti si sono fiondati su di lei e l’hanno messa con la faccia a terra, l’hanno ammanettata e l’hanno portata via. Sono disgustato”. O ancora “un ragazzo è stato raggiunto da una camionetta. I poliziotti hanno aperto il portellone e lo hanno buttato in un campo e hanno continuato a manganellarlo”, afferma ancora Masini.
Anche nei giorni precedenti, durante lo sgombero, si erano già verificate scene simili. “Il primo giorno è stato tranquillo. Quattro abitanti di Lützerath si sono legati agli alberi a 10 metri d’altezza. Altri hanno organizzato la resistenza su case sull’albero – spiega Fiacco, che ha trascorso cinque giorni nel villaggio prima dell’evacuazione – Noi altri ci siamo incatenati alle barricate e abbiamo fatto blocchi stradali per rallentare le operazioni delle forze dell’ordine”. Gli agenti, stimano gli attivisti, erano circa 2mila, ma nei giorni successivi se ne sono radunati fino a 9mila da 14 regioni della Germania. Dopo una tregua notturna di cinque ore, alle ore 7 di mattina è arrivato un nuovo annuncio di sgombero della polizia. “Questa volta – racconta Fiacco – non hanno risparmiato le violenze: una volta che hanno rotto la prima barricata, hanno manganellato e buttato fuori senza alcun riguardo attivisti di tutte le età. Hanno tagliato dei grandi alberi vicinissimi ai tronchi ai quali erano rimasti legati alcuni attivisti, mettendo in pericolo la loro vita. È stato molto doloroso da vedere – continua la 20enne – C’è stata poi una massiccia censura della libertà di stampa: ai giornalisti non è stato permesso di rientrare per documentare, con minacce di violenze e di revocare il permesso di operare nell’area”.
Nei confini del villaggio sono ancora un centinaio gli attivisti che resistono, “con i fari della polizia puntati contro di loro anche di notte”. “Due hanno scavato un tunnel strettissimo sottoterra e la polizia non ha ancora trovato l’ingresso. Perciò deve muoversi sul terreno con molta cautela”. Anche fuori però l’esperienza è “molto pesante e stancante a livello psicologico e fisico. Andiamo avanti finché riusciremo”, dice Daniele. “Lützerath è il simbolo della lotta per tenere l’aumento delle temperature globali al di sotto degli 1,5 gradi. Segna però anche il fallimento della politica istituzionale: la Germania, nell’immaginario comune dovrebbe trainare l’Europa e l’Europa il mondo verso la transizione ecologica”, commenta Cecilia Fiacco. Nelle sue parole però c’è anche lo spazio per un minimo di speranza: “Anche se sarà spazzato via è il simbolo di un’alternativa possibile sostenibile per l’ambiente e le persone. Alla fine dell’anno scorso – spiega – Rwe ha tagliato l’elettricità, quindi il villaggio si è sostenuto solo con l’energia solare. Il cibo è coltivato interamente nel villaggio e dai contadini vicini. Dopo che mi hanno sgomberato poi ho incontrato un’insegnante. Mi ha raccontato che si è trovata su una barricata di fianco a una sua alunna. Sono tantissime le storie come questa che ha creato Lützerath e sono meravigliose”.
L'articolo “Questo villaggio era il simbolo della resistenza al carbone, ci hanno colpiti senza ritegno”: il racconto degli ecoattivisti italiani a Lützerath proviene da Il Fatto Quotidiano.