Panoramica di grande interesse del Dott. Fabio Taormina, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, sulla giurisprudenza in tema di abusivismo e difesa del demanio marittimo.
Pubblicazione dell’Ufficio Studi della GIustizia Amministrativa, a sua volta pubblicata sulla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente in data 18 aprile 2024.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 18 aprile 2024
La giurisprudenza amministrativa in materia di abusivismo e tutela del demanio marittimo. (Fabio Taormina)
La giurisprudenza amministrativa in materia di abusivismo e tutela del demanio marittimo.*
Introduzione
Ringrazio l’Università di Palermo per avermi invitato a questo interessante convegno. Ho molto apprezzato gli interventi sinora succedutisi e l’impostazione multidisciplinare ad essi sottesa: i filmati proiettati, poi, hanno suscitato vera emozione. Se è vero (come credo sia indubitabile) che l’educazione ai valori costituzionali inizi sin dai primi anni della scuola, sarebbe auspicabile che simili iniziative venissero “replicate” anche in ambito scolastico. Il profilo giuridico, in questo quadro d’insieme, è forse il meno attraente: ne sono consapevole, e per questa ragione, ma anche per esigenze di continenza, il mio intervento si atterrà strettamente ai tempi assegnatimi cercando di tratteggiare i profili essenziali.
Premessa.
L’evoluzione del concetto di tutela dell’ambiente[1] – inteso nel senso ampio di “luogo in cui viviamo”- ha traguardato il sistema giuridico italiano verso approdi che, probabilmente, non erano stati neppure preconizzati dai nostri Padri costituenti.
Si è passati dal concetto di paesaggio quale oggetto di apprezzamento quasi esclusivamente estetico[2] a un concetto molto più inclusivo ed ampio, sintetizzabile, appunto, con l’espressione prima indicata con le virgolette.
Volendo descrivere il tutto con una metafora un po’ semplificante, è come se si fosse verificata una “estensione oggettiva” delle consolidate considerazioni della giurisprudenza, secondo cui “la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico è principio fondamentale della Costituzione (art. 9) ed ha carattere di preminenza rispetto agli altri beni giuridici che vengono in rilievo nella difesa del territorio”[3] cui si aggiunge l’affermazione secondo la quale “alla funzione di tutela del paesaggio è estranea ogni forma di attenuazione determinata dal bilanciamento o dalla comparazione con altri interessi, ancorché pubblici, che di volta in volta possono venire in considerazione”[4] . Ciò, tenendo presente che la Corte costituzionale ha ribadito il valore “assoluto e primario” del paesaggio con le sentenze Corte cost., 20 ottobre 2017 n. 218 e n. 246/2017.[5]
Nel concetto di ambiente, oggi, confluiscono istituti che pur mantenendo una propria autonomia (e disciplina differenziata) quale appunto il paesaggio ma anche l’urbanistica e l’edilizia, concorrono nel definirlo e fissarne i contenuti. In quanto “bene diffuso”, esso sarebbe suscettibile di tutela e disciplina “trasversale” e quindi, in teoria ascrivibile a tutti gli enti territoriali della Repubblica.
Non sempre, però, la molteplicità di fonti normative, provenienti da Enti diversi, produce un incremento di tutela: a tacere d’altro, occorre, a monte, stabilire un ordine gerarchico, per evitare che, pur muovendo da certamente lodevoli buone intenzioni, il proliferare di norme produca antinomie, incertezze, disordine, contenzioso, risolvendosi in un affievolimento della tutela.
Il fondamentale intervento della giurisprudenza (soprattutto si fa riferimento agli autorevoli arresti del Giudice delle leggi), ha cercato di ovviare a questo (indesiderato da tutti gli Attori del sistema) possibile inconveniente.
Sarebbe impossibile, in proposito, nel breve tempo assegnato, ripercorrere analiticamente (ma anche soltanto per sommi capi) le tappe della evoluzione legislativa e della giurisprudenza, amministrativa e costituzionale: si deve, giocoforza, procedere facendo un “salto cronologico” di numerosi decenni, e ricordare che la Corte costituzionale, con la notissima decisione 28 giugno 2006, n. 246 ha delineato i rapporti tra legislazione nazionale e regionale, in punto di tutela di questo “bene” primario, denominato ambiente, nei seguenti termini: “La giurisprudenza costituzionale è costante nel senso di ritenere che la circostanza che una determinata disciplina sia ascrivibile alla materia “tutela dell’ambiente” di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, se certamente comporta il potere dello Stato di dettare standard di protezione uniformi validi su tutto il territorio nazionale e non derogabili in senso peggiorativo da parte delle Regioni, non esclude affatto che le leggi regionali emanate nell’esercizio della potestà concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, o di quella “residuale” di cui all’art. 117, quarto comma, possano assumere fra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale (si vedano, tra le molte, le sentenze numeri 336 e 232 del 2005; n. 259 del 2004 e n. 407 del 2002)”.
La Corte costituzionale, poi, ancora più di recente, ha precisato che “la collocazione della materia «tutela dell’ambiente [e] dell’ecosistema» tra quelle di esclusiva competenza statale non comporta che la disciplina statale vincoli in ogni caso l’autonomia delle Regioni”, atteso che “«Il carattere trasversale della materia, e quindi la sua potenzialità di estendersi anche nell’ambito delle competenze riconosciute alle Regioni, mantiene, infatti, salva la facoltà di queste di adottare, nell’esercizio delle loro attribuzioni legislative, norme di tutela più elevata»” (sentenze nn. 7 e 147 del 2019, richiamate, da ultimo, dalla sentenza n. 21 del 2021; Id. n. 178 del 2019 e n. 258 del 2020,
Per altro verso, spostando l’analisi dal versante afferente l’ordine delle competenze e virando verso la sostanza della disciplina posta a tutela dell’ambiente, non può certo chiudersi questa disamina introduttiva senza fare un cenno alla giurisprudenza comunitaria, posto che l’applicazione del c.d. principio di precauzione alla tutela dell’ambiente rappresenta probabilmente la “punta” più avanzata di questa ricerca di efficaci forme di tutela del luogo ove viviamo[6]: la necessità della valutazione della c.d. “opzione zero” e l’affermazione secondo cui “il principio di precauzione prevede che quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure di protezione senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l’effettiva esistenza e la gravità di tali rischi” non sembra necessitino di soverchi commenti.
L’attività di edificazione abusiva sul demanio. In Italia.
Sempre procedendo per “salti” (questa volta non solo cronologici, ma probabilmente, anche logici) e dato per dimostrato ciò che in precedenza si è invece, probabilmente, soltanto enunciato in punto di ricomprensione della c.d. “materia urbanistica” nel concetto di “ambiente”, quale tassello che concorre nel definirne la consistenza e, quindi, la tutela, si può passare ad affrontare più da vicino il tema oggetto d’esame.
Muovendo dal titolo che è stato assegnato al breve intervento dello scrivente (“abusivismo e tutela del demanio marittimo”) occorre in primo luogo chiedersi: v’è una specificità della legislazione nazionale che “giustifica” una trattazione autonoma dei fenomeni di abusivismo sul demanio (ivi compreso quello marittimo), rispetto a quella concernente l’abusivismo “in generale”?
La risposta è certamente positiva. Ciò, sotto plurimi profili, soltanto alcuni dei quali potranno essere in questa sede menzionati
Limitandosi al quadro normativo vigente, si osserva che:
a) l’art. 35 del decreto del Presidente della Repubblica del 6.6.2001 n. 380 disciplina autonomamente detta fattispecie, stabilendo che “1. Qualora sia accertata la realizzazione, da parte di soggetti diversi da quelli di cui all’articolo 28, di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell’ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell’abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all’ente proprietario del suolo.2. La demolizione è eseguita a cura del comune ed a spese del responsabile dell’abuso.3. Resta fermo il potere di autotutela dello Stato e degli enti pubblici territoriali, nonché quello di altri enti pubblici, previsto dalla normativa vigente.3-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all’articolo 23, comma 1, eseguiti in assenza di segnalazione certificata di inizio attivita’, ovvero in totale o parziale difformità dalla stessa .”;[7]
b) v’è quindi un “trattamento” differenziato, dell’abusivismo su area demaniale (ivi compresa ovviamente quella insistente sul demanio marittimo) rispetto a quello ordinario: l’opera abusiva insistente sul demanio va demolita tout court,[8] senza che possano ipotizzarsi fattispecie di fiscalizzazione dell’abuso; l’Amministrazione non ha alcun margine discrezionale, il provvedimento è vincolato;
c) la ratio di tale trattamento differenziato, coincide con la considerazione della natura permanente dell’abuso, che invera tra l’altro, la fattispecie di reato di cui all’art.1161 del codice della navigazione[9], mentre è pacifico, nella giurisprudenza di legittimità penale, che il reato di abusiva edificazione “semplice” ha natura istantanea con effetti permanenti;[10]
d) i beni demaniali (unitamente ai beni patrimoniali indisponibili) sono attributari di una protezione “rafforzata”, potendo l’Amministrazione agire a tutela dei medesimi mercè la c.d “autotutela esecutiva” ex art. 823 cc[11] e sono soggetti ad una disciplina “geneticamente” particolare (inusucapibili, inoccupabili dai privati,etc); nell’ambito dei beni demaniali, ancor più peculiare è la disciplina di quelli rientranti nel demanio marittimo.[12]
Fortunatamente, nell’ esperienza giudiziaria, non sono frequentissimi i casi di abusiva edificazione su area demaniale. Sono invece assai più numerose le ipotesi di manufatti abusivi insistenti nelle fasce di rispetto dei beni demaniali. A questa fattispecie, verranno dedicati i successivi approfondimenti, e verrà altresì chiarita la ragione per la quale, quanto alla protezione del demanio marittimo, sia doveroso volgere lo sguardo alle peculiarità della legislazione siciliana.
La Sicilia.
Si dedica una autonoma trattazione della tematica volgendo lo sguardo alla legislazione siciliana, non soltanto quale necessario momento di approfondimento dal momento che la sede di questo incontro di studi è nel capoluogo siciliano, ma, soprattutto, perché, – si vuole in anticipo precisare – la legislazione regionale siciliana in tema di protezione delle coste è stata per lungo tempo elevata a modello di tutela e (lo si sottolinea con qualche legittimo orgoglio, da siciliano) negli anni “copiata” da numerose altre Regioni, a testimonianza evidente del pregio delle soluzioni ivi adottate (“anticipatrici” del c.d “decreto Galasso”[13] e della giurisprudenza della Corte costituzionale che si è prima citata, con la quale si è riconosciuta alle Regioni la possibilità di dotarsi di “norme di tutela più elevata”).
E’ a tutti nota, la specialità ordinamentale della Sicilia, la particolare latitudine dello statuto[14] autonomistico di questa (cronologicamente antecedente, addirittura alla stessa Carta costituzionale, e da quest’ultima ribadito) e sono del pari ben note le prerogative legislative a questa assegnate.
Sul punto, la giurisprudenza ha in passato affermato che l’estraneità della disciplina ambientale alla competenza esclusiva della Regione Siciliana non trovasse riscontro “nella competenza esclusiva attribuita alla potestà normativa regionale dall’art. 14, lett. f) dello Statuto Speciale in materia di “urbanistica”, intesa dall’art. 34 del d.lgs. n. 80/1998 come materia che disciplina “tutti gli aspetti dell’uso del territorio”; ovvero, come “la disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente”, secondo il significato espresso dall’art. 80 d.P.R. n. 616/1977, che appare ancora più comprensivo nel voler sottolineare l’osmosi funzionale della tutela ambientale per gli scopi di benessere economico collettivo assegnati dall’ordinamento alla disciplina urbanistica del territorio, secondo un indirizzo che si è manifestato ancor prima della entrata in vigore della Costituzione repubblicana”.[15]
Il motivo per cui si è voluto (tra i tanti in materia) richiamare questo arresto della giurisprudenza, sarà immediatamente chiaro, non appena verranno declinate le disposizioni che, in Sicilia, regolano l’attività edilizia nelle aree limitrofe alle coste (il che avverrà immediatamente di seguito). Sebbene sia ben noto che eleganza espositiva vorrebbe che non si procedesse alla testuale lettura delle norme, (dandone per presupposta la conoscenza ) e che, al contempo, le stesse venissero “confinate” in nota nel testo scritto, si procede consapevolmente a violare la “netiquette” nel tentativo di rendere questo breve contributo “autoconclusivo”, e il testo scritto di agevole lettura.
Giova richiamare, in primo luogo la “norma madre”, contenuta al comma 1 lett. a) dell’art. 15 della legge regionale della Sicilia 12.6.1976 n. 78, della quale si riporta integralmente il testo “Ai fini della formazione degli strumenti urbanistici generali comunali debbono osservarsi, in tutte le zone omogenee ad eccezione delle zone A e B, in aggiunta alle disposizioni vigenti, le seguenti prescrizioni: a) le costruzioni debbono arretrarsi di metri 150 dalla battigia; entro detta fascia sono consentite opere ed impianti destinati alla diretta fruizione del mare, nonchè la ristrutturazione degli edifici esistenti senza alterazione dei volumi già realizzati; b) entro la profondità di metri 500 a partire dalla battigia l’ indice di densità edilizia territoriale massima è determinato in 0,75 mcmq; c) nella fascia compresa fra i 500 ed i 1.000 metri dalla battigia l’ indice di densità edilizia territoriale massima è determinato in 1,50 mcmq; d) le costruzioni, tranne quelle direttamente destinate alla regolazione del flusso delle acque, debbono arretrarsi di metri 100 dalla battigia dei laghi misurata nella configurazione di massimo invaso; e) le costruzioni debbono arretrarsi di metri 200 [dal limite dei boschi, delle fasce forestali] e dai confini dei parchi archeologici .Nell’ambito del territorio della Regione non è applicabile la disposizione contenuta nel terzo comma dell’ art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765”. Ulteriore disposizione di rilevante importanza, si rinviene – seguendo un ordine che, come si chiarirà di seguito, non è (soltanto) cronologico, ma è invece improntato ai parametri del rilievo e dell’ importanza, nella legge regionale della Sicilia 10.8.1985 n. 37 (recante “nuove norme in materia di controllo dell’attività urbanistico edilizia – riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive”), all’art. 23 (la cui rubrica reca “condizioni di applicabilità della sanatoria”) che ai commi 10 e 11 così dispone: “Per le costruzioni che ricadono in zone vincolate da leggi statali o regionali per la tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, igienici, idrogeologici, delle coste marine, lacuali o fluviali, le concessioni in sanatoria sono subordinate al nulla – osta rilasciato dagli enti di tutela sempre che il vincolo, posto antecedentemente all’ esecuzione delle opere, non comporti inedificabilità e le costruzioni non costituiscano grave pregiudizio per la tutela medesima; restano altresì escluse dalla concessione o autorizzazione in sanatoria le costruzioni eseguite in violazione dell’ art. 15, lett. a, della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, ad eccezione di quelle iniziate prima dell’ entrata in vigore della medesima legge e le cui strutture essenziali siano state portate a compimento entro il 31 dicembre 1976.Qualora le costruzioni di cui al comma precedente siano già ricomprese in piani particolareggiati di recupero approvati e siano compatibili con i piani stessi e sui piani particolareggiati si siano espressi gli enti preposti alla tutela dei vincoli, le concessioni o le autorizzazioni in sanatoria sono rilasciate senza ulteriori richieste di nulla-osta degli enti che hanno rilasciato autorizzazioni in sede di approvazione dei piani ”.[16]
Pirandello e la Sicilia.
Uno
L’esposizione dello scrivente, contenuta all’essenziale, potrebbe (e, per le ragioni che verranno chiarite alla fine di questa esposizione dovrebbe, probabilmente) arrestarsi qui. Senonchè, essa non sarebbe completa, se non desse conto di altre due “fonti” normative.
Con la legge regionale siciliana 30.4.1991 n. 15, all’art. 2 comma 3, (recante “Proroga dell’ efficacia dei vincoli contenuti negli strumenti urbanistici generali nonchè di quelli apposti ai sensi dell’ articolo 6 della legge regionale 6 maggio 1981, n. 98”) è stato stabilito quanto segue: “1. L’ efficacia dei vincoli contenuti negli strumenti urbanistici generali indicati dall’ articolo 1 della legge regionale 5 novembre 1973, n. 38, già decaduti per decorrenza di termini, è prorogata sino al 31 dicembre 1992.2. Qualora l’ efficacia dei vincoli di cui al comma 1 decada entro il 31 dicembre 1992, la stessa è prorogata fino alla predetta data.3. Le disposizioni di cui all’ articolo 15, primo comma, lettere a, d, ed e della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78 devono intendersi direttamente ed immediatamente efficaci anche nei confronti dei privati. Esse prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi.4. I vincoli apposti ai sensi dell’ articolo 6 della legge regionale 6 maggio 1981, n. 98, ancorchè scaduti, sono prorogati di un ulteriore biennio a far data dall’ entrata in vigore della presente legge.”. Infine, con la Legge regionale siciliana del 31.5.1994 n. 17, all’art. 6 (rubricato “autorizzazione al mutamento di destinazione d’ uso per gli immobili edificati nelle zone a verde agricolo”) sono state apportate alcune modifiche alla legge urbanistica, tra le quali l’inserzione della lett. e) “rispetto delle distanze stabilite dall’ articolo 15 della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, come interpretato dall’ articolo 2 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 15” nell’originario impianto dell’articolo 22 della legge regionale 27 dicembre 1978, n. 71. [17]
A che pro, ci si potrebbe fondatamente chiedere, scomodare, nella intitolazione del paragrafo, il famoso scrittore e drammaturgo agrigentino, già premio nobel della letteratura? Il motivo è molto semplice. La giurisprudenza amministrativa[18] aveva già raggiunto una stabile concordanza di opinioni nell’interpretare armonicamente la “norma madre”, contenuta al comma 1 lett. a) dell’art. 15 della legge regionale della Sicilia 12.6.1976 n. 78, e l’art. 23 (la cui rubrica reca “condizioni di applicabilità della sanatoria”) comma 10 della legge regionale della Sicilia, 10.8.1985 n. 37 (recante disposizioni in materia di condono), stabilendo che:
a) il precetto di cui all’art. 15 lett a) riguardasse unicamente i comuni (“il secondo argomento addotto nello impugnato provvedimento di diniego ed esattamente disatteso dal TAR riguarda l’asserito contrasto della richiesta concessione edilizia rispetto all’art. 15 lett. a) della 1. reg. 12 giugno 1976, n. 78: disposizione che esattamente il TAR ha ritenuto inapplicabile, trattandosi di precetto rivolto ai Comuni i quali,nella formazione dei futuri strumenti urbanistici, avrebbero dovuto vietare in zone diverse da quelle A e B la edificazione a meno di 150 metri dalla battigia, consentendo entro detta fascia soltanto opere e impianti destinati alla diretta fruizione del mare e la .ristrutturazione .di edifici esistenti senza alterazione dei volumi già realizzati.A fronte di una chiarissima portata letterale della: norma, che non pone un diretto ed immediato vincolo di inedificabilita -o di non modificabilita anche qualitativa degli edifici preesistenti) nei pressi delle coste, ma vincola i comuni a conformarvisi nella redazione dei futuri strumenti urbanistici”);
b) esso non istituisse immediatamente un vincolo di inedificabilità entro la fascia di 150 metri dalla battigia;
c) fosse errata la tesi secondo la quale “ l’art. 23 comma 10 della legge regionale della Sicilia, 10.8.1985 n. 37 avesse abrogato implicitamente la parte dell’art. 15 che indicava nei comuni i destinatari della norma rendendola immediatamente applicabile nei confronti dei privati”;
d) tra le due disposizioni, “ non v’era, invece, alcuna incompatibilità assoluta costituente indispensabile presupposto l’abrogazione tacita: al contrario, le due disposizioni possono coesistere. Infatti l’art. 23.della 1. reg. n. 37 1985 indica entro quali limiti sia consentita la sanatoria degli edifici abusivi, per tali intendendosi quelli eseguiti, tra l’altro, in mancanza di concessione edilizia, fossero, o meno, difformi rispetto alla disciplina urbanistica”;
e) in tale prospettiva “la non sanabilità di edifici abusivamente realizzati in violazione del citato art. 15 non comportava la immediata applicabilità di questo nei confronti dei privati, e quindi non vietava il rilascio di concessioni edilizie, sino a quando i comuni non avessero inserito nei loro strumenti urbanistici i divieti e le limitazioni posti dall’art.15”;
f) l’art. 23 predetto, voleva “invece impedire che vengano sanati edifici abusivamente costruiti senza concessione edilizia nelle zone previste dall’art. 15 e ciò proprio al fine di garantire che la futura pianificazione urbanistica – adeguandosi ai limiti posti dall’articolo 15 stesso – non trovi la situazione ormai irrimediabilmente compromessa da edifici abusivi nel frattempo realizzati e resi ormai ineliminabili ove la sanatoria –anziché vietata- fosse stata consentita”.
Senonchè, come appena visto, il legislatore regionale ritenne di intervenire nuovamente sul tema.
Nessuno.
La sentenza del Cgars n. 99 del 1991[19] che si è ampiamente citata prima, assunta in decisione il 23 gennaio 1991 e pubblicata il 26 marzo 1991 ed è di chiarezza e geometria logica, esemplare, anche laddove si sofferma nel chiarire la ratio delle disposizioni predette (ratio, peraltro, “trasparente”, sol che ci si faccia carico di esaminare i lavori preparatori e il dibattito parlamentare tenutosi all’Ars). Senonchè, nel mese di aprile successivo[20], il Legislatore regionale con la legge 30.4.1991 n. 15, all’art. 2 comma 3 ritenne di intervenire sul tema, stabilendo che “Le disposizioni di cui all’ articolo 15, primo comma, lettere a, d, ed e della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78 devono intendersi direttamente ed immediatamente efficaci anche nei confronti dei privati. Esse prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi” e, poi, – come chiarito in precedenza- successivamente, nel 1994, fece riferimento all’ art. 15, siccome appunto “autenticamente interpretato” dal citato art. 2 comma 3 della legge n. 15 del 1991.
Sul perché il Legislatore regionale si sia risolto ad adottare questa iniziativa, (peraltro discordante, rispetto all’approdo raggiunto dalla giurisprudenza del Cgars ancora appena un mese prima) vi sono pochi dubbi: i comuni non erano stati solleciti nell’adeguare i propri strumenti urbanistici al precetto di cui al comma 1 lett. a) dell’art. 15 della legge regionale della Sicilia 12.6.1976 n. 78 e ci si trovava al cospetto del “problema” rappresentato da eventuali domande di concessione edilizia[21] avanzate dai privati con riferimento ad aree rientranti nei 150 metri dalla battigia, e rimaste inevase.
La questione non riguardava (e non riguarda) affatto le domande di sanatoria riguardanti edifici abusivamente edificati nella fascia di rispetto tra il 1976 e il 1985, in quanto “normati” dalla legge del 1985 n. 37, art. 23 comma 10, come – si confida di aver dimostrato – venne lucidamente colto dalla giurisprudenza precedente alla norma di “interpretazione autentica” prima richiamata.
In ogni caso, anche nel 1994, il Legislatore regionale fece riferimento a quest’ultima, nel fare disciplinare l’edificazione nella fascia di rispetto della battigia dove era stato previsto un vicolo assoluto di inedificabilità.
Centomila
La confusione che è seguita a questo singolare intervento di interpretazione autentica ascrivibile al Legislatore regionale è stata consistente, e da essa non è rimasta immune la giurisprudenza.
Ciò che è accaduto, infatti, è stato che:
a) i comuni, nei provvedimenti da essi emessi, reiettivi delle istanze di sanatoria degli edifici abusivi edificati entro la fascia dei 150 metri dalla battigia, hanno fatto riferimento alla norma di interpretazione autentica suddetta;
b) la giurisprudenza successiva, -si ricorda che il Giudice decide la causa sulla scorta dei motivi prospettati dalle parti- si è adeguata a questo modus operandi, rigettando i ricorsi avverso i dinieghi di sanatoria alla luce di detta disposizione e soffermandosi sulla conducenza della stessa (laddove, invece, sarebbe stato probabilmente più semplice limitarsi a richiamare l’art. 23 comma 10 della legge regionale della Sicilia, 10.8.1985 n. 37);
c)a più riprese – in processi concernenti la (pretesa) sanabilità degli edifici abusivi edificati entro la fascia dei 150 metri dalla battigia- è stata ipotizzata l’incostituzionalità della citata norma di interpretazione autentica (sinora sia i Tar che il Cgars hanno sempre ritenuto infondate le questioni sollevate) ipotizzando che al venir meno della stessa potessero avere “sorte” accoglitiva le istanze di sanatoria presentate;
d) serialmente, negli anni, vengono ipotizzati ulteriori interventi normativi del Legislatore attingenti la predetta disposizione di interpretazione autentica, come se questo fosse l’ostacolo alla sanabilità degli edifici edificati entro la linea di battigia (obliando che l’insuperabile ostacolo è invece rappresentato dall’art. 23 comma 10 della legge regionale della Sicilia, 10.8.1985 n. 37).
In questa babele di linguaggi, le Amministrazioni comunali hanno probabilmente le loro responsabilità, se è vero – come sembra vero- che sono ben pochi i comuni che hanno eseguito le ordinanze di demolizione da essi stessi emesse (o emesse dal Giudice penale) tanto che da notizie giornalistiche[22] si ricava che sarebbero circa duecentomila le costruzioni insistenti nella area rientrante nei 150 mt dalla battigia, potenzialmente interessate da ipotetiche sanatorie.
Il tutto, continuando a non tenere conto di una circostanza:
a)seguendo la condivisibile ricostruzione esposta nella sentenza del Cgars n. 99 del 1991, ogni problematica concernente la norma di interpretazione autentica di cui si è detto potrebbe – al più – riguardare eventuali controversie risarcitorie intentate dai privati avverso i dinieghi di edificazione opposti alle loro istanze di rilascio della concessione edilizia dai comuni che non avevano adeguato i propri strumenti urbanistici alle perentorie disposizioni del comma 1 lett. a) dell’art. 15 della legge regionale della Sicilia 12.6.1976 n. 78;
b) detta disposizione non assumerebbe rilevanza nella controversie concernenti i dinieghi di sanatoria di costruzioni abusivamente edificate dopo l’anno 1976 nell’area dei 150 metri dalla battigia, in quanto tali controversie trovano risoluzione nella legge del 1985 n. 37, art. 23 comma 10 che impedisce in termini assoluti la condonabilità di detti edifici: in tali fattispecie, infatti, il rinvio materiale dell’art. 23 comma 10 al comma 1 lett. a) dell’art. 15 della legge regionale 12.6.1976 n. 78 è disposizione autosufficiente ex se fondante il divieto assoluto di condono.
Fabio Taormina
Presidente di Sezione del Consiglio di Stato
* Intervento reso al convegno del 17 marzo 2024 presso l’Università degli Studi di Palermo Aula Chiazzese
“La Tutela dell’ambiente marino e costiero nella prospettiva dei cambiamenti climatici”
Organizzato da
Università degli Studi di Palermo – Capitaneria di Porto-Guardia Costiera di Palermo.
Master di II Livello in “Diritto e Tecnica della Transizione Ecologica” Progetto Europeo “Climate Justice Living Lab”.
LA TUTELA DELL’AMBIENTE
MARINO E COSTIERO NELLA PROSPETTIVA
DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI
[1] Dall’Enciclopedia Treccani: “Il termine ambiente è utilizzato in senso promiscuo dal legislatore, per denotare tanto la realtà naturale quanto gli a. di vita e di lavoro. Nonostante, infatti, l’esistenza nell’ordinamento giuridico italiano di un molteplicità di leggi inerenti alla tutela ambientale, non è possibile individuare alcuna definizione normativa del concetto di ambiente. La stessa Costituzione non si riferisce a esso come bene oggetto di autonoma tutela, indicando piuttosto la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività (art. 32, co. 1). Le fonti più recenti del diritto interno, particolarmente condizionate dai principi elaborati in sede europea, comprendono nel concetto di a. ogni effetto dell’attività produttiva o di trasformazione del territorio, assimilando pertanto l’uomo stesso, la fauna, la flora, il suolo, l’aria, il clima, il paesaggio, l’interazione tra i fattori biotici e abiotici i beni materiali e il patrimonio culturale.”;
[2] Emblematica in proposito, l’impostazione delle leggi n. 1089 dell’1.6.1939 e 1497 del 29.6.1939, che costituirono l’humus sul quale venne innestato il –cronologicamente successivo e gerarchicamente sovraordinato- art. 9 della carta Fondamentale;
[3] cfr. Cons. Stato, Sez. II, 14 novembre 2019 n. 7839, in Foro amm., 2019, 11, 1790;
[4] cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2020 n. 1486, in Foro amm., 2020, 3, I, 573;
[5] in Foro amm, 2017, 5, I, 1037 e Id., n. 246/2017, ivi, 6, I, 1263;
[6] Corte di giustizia dell’Unione europea, Prima Sezione, sent. 9 giugno 2016 nelle cause riunite C-78/16 e C-79/16;
[7] sul tema, vanno altresì citati gli artt. 27 e 28 del predetto decreto del Presidente della Repubblica del 6.6.2001 n. 380, che di seguito si riportano: Art. 27 – (L) Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia:“1. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente, la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi.2. Il dirigente o il responsabile, quando accerti l’inizio o l’esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, ,nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi. Qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa. Per le opere abusivamente realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo. 29 ottobre 1999, n.490, o su beni di interesse archeologico, nonché per le opere abusivamente realizzate su immobili soggetti a vincolo o di inedificabilità assoluta in applicazione delle disposizioni del titolo II del decreto legislativo. 29 ottobre 1999, n.490, il Soprintendente, su richiesta della regione, del comune o delle altre autorità preposte alla tutela, ovvero decorso il termine di 180 giorni dall’accertamento dell’illecito, procede alla demolizione, anche avvalendosi delle modalità operative di cui ai commi 55 e 56 del!’ articolo 2 della legge 23 dicembre 1996, n.662.3. Ferma rimanendo l’ipotesi prevista dal precedente comma 2, qualora sia constatata, dai competenti uffici comunali d’ufficio o su denuncia dei cittadini, l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità di cui al comma 1, il dirigente o il responsabile dell’ufficio, ordina l’immediata sospensione dei lavori, che ha effetto fino all’adozione dei provvedimenti definitivi di cui ai successivi articoli, da adottare e notificare entro quarantacinque giorni dall’ordine di sospensione dei lavori. Entro i successivi quindici giorni dalla notifica il dirigente o il responsabile dell’ufficio, su ordinanza del sindaco, può procedere al sequestro del cantiere .4. Gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, ove nei luoghi in cui vengono realizzate le opere non sia esibito il permesso di costruire, ovvero non sia apposto il prescritto cartello, ovvero in tutti gli altri casi di presunta violazione urbanistico-edilizia, ne danno immediata comunicazione all’autorità giudiziaria, al competente organo regionale e al dirigente del competente ufficio comunale, il quale verifica entro trenta giorni la regolarità delle opere e dispone gli atti conseguenti.”;
Art. 28 – (L) Vigilanza su opere di amministrazioni statali:“1. Per le opere eseguite da amministrazioni statali, qualora ricorrano le ipotesi di cui all’ articolo 27, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale informa immediatamente la regione e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti , al quale compete, d’intesa con il presidente della giunta regionale, la adozione dei provvedimenti previsti dal richiamato articolo 27.”;
[8] tra le tante: T.A.R. Napoli, sez. VII, 5.10.2020, n.4266 “La disciplina di cui all’art. 35, d.P.R. n. 380/2001, differente rispetto a quella ordinaria dettata dall’art. 31 del T.U. Edilizia e che non prevede l’irrogazione di sanzioni pecuniarie, trova la propria giustificazione nella peculiare gravità della condotta sanzionata, che riguarda la costruzione di opere abusive su suoli pubblici. A ciò consegue, fra l’altro, che la norma non lascia all’ente locale alcuno spazio per valutazioni discrezionali, una volta accertata la realizzazione di interventi eseguiti in assenza o in totale difformità del permesso di costruire su suoli demaniali, che impone di ordinarne la demolizione a cura del Comune e a spese del responsabile dell’abuso. In altri termini una volta accertato il carattere abusivo dell’opera ai sensi degli artt. 31 e 35, T.U. Edilizia, il provvedimento di ingiunzione alla rimozione del manufatto si configura per l’Amministrazione come atto dovuto e vincolato, come previsto dal comma 2 dell’art. 31, T.U. Edilizia, con la conseguenza che i relativi provvedimenti, quali l’ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario dare notizia dell’avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto.”; Consiglio di Stato sez. VII, 26.1.2023, n.897 “Il fatto che un manufatto sia stato costruito su un suolo comunale, senza alcun titolo abilitativo, giustifica l’irrogazione della misura vincolata ex art. 35 d.P.R. n. 380/2001, rivolta a tutelare le aree demaniali o di enti pubblici dalla costruzione di manufatti da parte di privati, senza necessità di accertare l’epoca della realizzazione.”;
[9] Alla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione (ex multis Cassazione penale sez. III, 12.6.2020, n.20088 vanno ascritti i seguenti approdi: “il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo (artt. 54 e 1161 c.n.) è configurabile anche in mancanza di un esplicito atto di destinazione demaniale del bene, derivando la demanialità dalle caratteristiche intrinseche di quest’ultimo, sicchè, se esso è compreso nelle categorie previste dall’art. 28 c.n. e sia adibito ad usi attinenti alla navigazione, rientra nel demanio marittimo (Sez.3, n. 46351 del 27/10/2011, Rv.251343 – 01).In particolare, il demanio marittimo è formato dai beni indicati nell’art. 822 c.c. (lido del mare, spiagge, rade e porti) e nell’art. 28 c.n., che aggiunge le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’anno comunicano liberamente con il mare e i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo. Ognuno dei beni dianzi enumerati è contraddistinto dall’essere idoneo ai pubblici usi del mare e tale criterio, desunto dall’art. 28 c.n., guida tradizionalmente la giurisprudenza nelle controversie tendenti ad accertare i confini del demanio marittimo.
Il lido del mare è quella zona della riva a contatto diretto con le acque, che si estende all’interno fino al limite massimo delle mareggiate ordinarie. La spiaggia è costituita dalla zona che dal margine interno del lido si estende verso terra senza confini determinati. La minore o maggiore estensione della spiaggia si pone in relazione all’avanzarsi o al ritrarsi del mare: in particolare, quando questo si ritrae la spiaggia si allarga, costituendo gli arenili, i quali, ove non servano ai pubblici usi del mare, possono essere esclusi dal demanio marittimo, con decreto ministeriale adottato ai sensi dell’art. 35 c.n. e restano demaniali fino all’emanazione di un tale provvedimento espresso di sclassificazione (cfr, in motivazione, Sez. 3, n. 28156 del 04/05/2006, Rv.234937 – 01).Trattandosi di demanio naturale, l’ampiezza del lido del mare e della spiaggia può variare in modo anche notevole a seconda che i loro caratteri obbiettivi (natura sabbiosa o ghiaiosa del terreno, eccetera) si presentino in modo più o meno esteso verso la terraferma (Sez. 3, n. 4534 del 27/09/1976 – dep. 31/03/1977, Croci, Rv. 136954).E’ pacifico, inoltre, che il procedimento amministrativo di delimitazione di determinate zone del demanio marittimo (disciplinato dall’art. 32 c.n. ed affidato, in caso di obiettiva incertezza, all’iniziativa discrezionale, in base al principio dell’autotutela, del capo del compartimento marittimo competente) ha carattere semplicemente ricognitivo e non costitutivo della demanialità del lido, della spiaggia e dell’arenile, nel senso cioè dell’accertamento di una preesistente qualifica giuridica (la demanialità di tali beni).Peraltro, in considerazione di tale limitata natura del procedimento amministrativo di delimitazione del demanio marittimo, la mancanza di esso non esplica alcuna influenza sull’accertamento dei reati di cui agli arti 54, 55 e 1161 c.n. (Sez. 3 del 29.4.2004, n. 20124, Testa; 31.5.2002, n, 21386, P.M. in proc. Salerno; 24.4.1995, n. 4332, Capua; 17.10.1986, n. 11094, Accardi; 11.10.1976, n, 10010, Raviele); neppure è configurabile l’ipotesi di sdemanializzazione tacita del demanio marittimo, proprio perchè la demanialità è una qualità che deriva direttamente e originariamente dalla legge, sicchè i beni che ne sono oggetto sfuggono a qualsiasi forma di sdemanializzazione tacita, potendosi attuare solamente quella espressa mediante uno specifico provvedimento di carattere costitutivo da parte della competente autorità amministrativa (Sez. 2, n. 599 del 01/02/1988 – dep. 20/01/1989, Izzi, Rv. 180214; Sez. 3, n. 865 del 22/02/1996 – dep. 03/04/1996, Coppola, Rv. 204303; Sez. 3, n. 25165 del 21/05/2009 – dep. 17/06/2009, Olivetti, Rv. 244085 (Sez.3, n. 17424 del 10/03/2016, Rv. 267025 – 01; Sez. 3, n. 25165 del 21/05/2009, Rv. 244085 – 01).Va, inoltre, evidenziato che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il fatto che un terreno sia indicato nelle mappe catastali come compreso nel demanio marittimo dimostra che è stata a suo tempo espletata la procedura di delimitazione di cui al combinato disposto degli artt. 32 c.n. e art. 58 regolamento di attuazione per la navigazione marittima, sicchè, in assenza di alterazioni dello stato di fatto, quali determinate da sconvolgimenti del terreno o da fenomeni di spostamento della linea di battigia per cause naturali, la natura demaniale del medesimo terreno, così come verificata e registrata, non può essere oggetto di contestazione (Sez. 3, n. 12606 del 20/10/2000, Rv. 217394; Sez. 3, n. 36179 del 02/07/2003, Rv. 225884; Sez.3, n. 18691 del 22/03/2016, Rv.267029 – 01).” ;
[10] ex aliis Cassazione penale sez. III, 22.6.2022, n.33105:”In tema di tutela del demanio marittimo le innovazioni non autorizzate che limitino il godimento del bene da parte della collettività, determinando un’occupazione abusiva dell’area o un ampliamento di quella autorizzata, integrano il reato permanente di abusiva occupazione di cui all’art. 1161, comma 1, prima parte, c. nav.”; Cassazione penale sez. III, 15.2.2017, n.36605:”Il reato di esecuzione, senza autorizzazione o in violazione della stessa, di opere in zona distante meno di trenta metri dal demanio marittimo (cd. fascia di rispetto), previsto dagli artt. 55 e 1161 del codice della navigazione, ha natura permanente e cessa solo con il conseguimento dell’autorizzazione prescritta o con la demolizione del manufatto edificato entro la fascia demaniale.”;
[11] Cassazione civile sez. un., 15.3.2012, n.4127:”l’art. 823 c.c. ammette espressamente che la p.a. possa, anziché esercitare poteri di autotutela, avvalersi dei mezzi ordinari apprestati dal codice civile a tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Tale tutela giurisdizionale deve ritenersi comprensiva di quella di chiedere al giudice ordinario l’accertamento della natura demaniale che il privato disconosca anche facendo a sua volta valere il diritto di proprietà sul medesimo immobile. Tale principio non soffre deroga ove la controversia verta sulla appartenenza o meno del bene al demanio marittimo in quanto anche tale demanialità consegue direttamente dalla legge e non postula l’emanazione di atti amministrativi, necessari solo nella diversa ipotesi in cui si discuta non sulla natura demaniale del bene ma sulla esatta delimitazione dei suoi confini, rendendo necessario il suddetto procedimento amministrativo di cui all’art. 32 c.nav. e all’art. 58 del relativo regolamento, a causa dell’incertezza oggettiva sul fondo tra il demanio e le proprietà private. Comunque, concluso il procedimento amministrativo, qualora gli interessati non intendano accettare il provvedimento ministeriale e danno origine a una controversia in sede giurisdizionale, i termini della contesa non si spostano continuando ad avere per oggetto il diritto soggettivo di proprietà dei beni, la cui demanialità è in contestazione. Deriva da quanto precede, pertanto, che tale controversia rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, quali che siano i vizi, gli errori e le violazioni sostanziali e procedurali in cui sia incorsa l’amministrazione.”;
[12] ex multis, Cassazione civile sez. II, 11.5.2009, n.10817: “a differenza di quanto previsto dall’art. 829 c.c. – secondo cui il passaggio di un bene dal demanio pubblico al patrimonio ha natura dichiarativa e può avvenire anche tacitamente – per i beni appartenenti al demanio marittimo, tra i quali si include la spiaggia, comprensiva dell’arenile, non è possibile che la sdemanializzazione si realizzi in forma tacita, essendo necessaria, ai sensi dell’art. 35 c. nav., l’adozione di un espresso e formale provvedimento della competente autorità amministrativa, avente carattere costitutivo.”;
[13] decreto-Legge 27 giugno 1985, n. 312 convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1985, n. 431 recante “Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale”, art.1 lett. a): “Sono sottoposti a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497:a ) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare”;
[14] Regio Decreto Legislativo del 15 maggio1946 n. 455 recante lo Statuto della Regione siciliana convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2; per un’analisi dei rapporti tra Costituzione della Repubblica e Statuto regionale, si veda Cgars, Ordinanza collegiale n. 566 del 12.5.2022, da cui è scaturita Corte cost. n. 63 del 7 aprile 2023;
[15] Cgars, Adunanza delle Sezioni riunite del 20 febbraio 2018, Affare n. 00233/2017;
[16] I più anziani, ricorderanno che la prima di dette disposizioni fu fortissimamente voluta dall’allora giovane assessore alla Presidenza con delega al bilancio della Regione siciliana Piersanti Mattarella, che nel il 9 febbraio del 1978 divenne poi Presidente della Regione Sicilia e che venne barbaramente ucciso il 6 gennaio 1980; l’approvazione di detta legge suscitò aspre polemiche e contrasti; altrettanto “problematica” fu l’approvazione della legge regionale della Sicilia, 10.8.1985 n. 37: all’indomani della pubblicazione di detta legge, “accusata” di essere più restrittiva di quella nazionale, seguirono proteste e persino blocchi stradali; essa venne approvata a strettissima maggioranza, e ben 37 dei deputati che votarono a favore, non furono rieletti alla consultazione elettorale che si tenne l’anno successivo, nel 1986; tra i deputati che votarono a favore e che vennero poi “bocciati” alle urne, v’era anche il padre dello scrivente, capogruppo del partito liberale all’Ars; se mi è consentito un ricordo personale, mio padre non si pentì mai di quel voto a favore;
[17] il testo integrale del richiamato art. 6 è il seguente: “L’ articolo 22 della legge regionale 27 dicembre 1978, n. 71, è così sostituito:” Art. 22 1. Nelle zone destinate a verde agricolo dai piani regolatori generali sono ammessi impianti o manufatti edilizi destinati alla lavorazione o trasformazione di prodotti agricoli o zootecnici locali ovvero allo sfruttamento a carattere artigianale di risorse naturali nella zona tassativamente individuate nello strumento urbanistico.2. Le concessioni edilizie rilasciate ai sensi del comma 1 devono rispettare le seguenti condizioni:a) rapporto di copertura non superiore a un decimo dell’ area di proprietà proposta per l’ insediamento;b) distacchi tra fabbricati non inferiori a m. 20;c) distacchi dai cigli stradali non inferiori a quelli fissati dall’ articolo 26 del DPR 16 dicembre 1992, n. 495;d) parcheggi in misura non inferiore ad un quinto dell’ area interessata;e) rispetto delle distanze stabilite dall’ articolo 15 della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, come interpretato dall’ articolo 2 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 15,2. Per gli immobili già ultimati alla data di entrata in vigore della presente legge, in base a regolare concessione edilizia rilasciata a norma del previgente testo dell’ articolo 22 della legge regionale 27 dicembre 1978, n. 71, o comunque realizzati in zona agricola secondo le previsioni del piano regolatore generale e che non possono più essere utilmente destinati alle finalità economiche originarie, è facoltà dei comuni consentire il cambio di destinazione d’ uso con riferimento ad altra attività , ancorchè diversa da quella originaria, nel rispetto della cubatura esistente e purchè la nuova destinazione non sia in contrasto con rilevanti interessi urbanistici o ambientali. E’ in ogni caso esclusa l’ autorizzazione per il cambio della destinazione in uso abitativo .3. La variazione della destinazione d’ uso, di cui al comma 2, può essere autorizzata solo se siano trascorsi almeno tre anni dalla data di rilascio della concessione edilizia.4. L’ autorizzazione di cui ai commi 2 e 3 è rilasciata nel rispetto delle procedure e dei criteri stabiliti dall’ articolo 10 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, commi 3 e 4.4 bis. La disposizione di cui al comma 1 dell’ articolo 22 della legge regionale 27 dicembre 1978, n. 71, come sostituito dal presente articolo, non si applica alle domande di concessione edilizia conformi alla normativa prevista sulle quali si è favorevolmente pronunziata la commissione edilizia comunale alla data di entrata in vigore della presente legge”;
[18] Cgars 26 marzo 1991 n. 99 sui riuniti ricorsi 204 e 220 del 1989;
[19] Presidente Mario Egidio Schinaia, che successivamente diverrà Presidente del Consiglio di Stato, estensore Luigi Cossu;
[20] esattamente il 30.4.1991 con la legge n. 15, art. 2 comma 3;
[21] Così, al tempo, era denominato ciò che oggi si chiama permesso di costruire ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica del 6.6.2001 n. 380,
[22] Corriere della Sera 13 luglio 2023 cronache siciliane.
(foto Benthos, S.D., archivio GrIG)