Reputazione aziendale e tensioni geopolitiche, una ricerca. TikTok tra politica e intrattenimento. Urgente come il climate change. Colmare il gap digitale. The Messenger già nei guai. La gentilezza come rimedio.

1 year ago 81

Reputazione aziendale e tensioni geopolitiche, una ricerca

Secondo il sondaggio Axios Harris 100 – che analizza la reputazione dei brand in America –, le aziende profondamente radicate nella cultura americana hanno visto aumentare notevolmente la propria reputazione rispetto a quelle straniere, soprattutto cinesi. Come riportato da Axios, questo risultato è la conseguenza dell’escalation delle tensioni geopolitiche, che portano gli americani a fidarsi maggiormente delle “proprie” aziende. Molte imprese cinesi sono sotto vigile osservazione del governo degli Stati Uniti, giornalisti e ricercatori. E questo sta sicuramente avendo un effetto negativo sulle percezioni dei consumatori americani. Non è un caso che compagnie come ByteDance, che controlla TikTok, abbiano registrato punteggi bassi. Da segnalare tuttavia che non tutte le imprese asiatiche hanno avuto un crollo così evidente: Samsung e Toyota si sono entrambe classificate tra le prime 10 in termini di reputazione complessiva, così come Sony e LG si sono classificate rispettivamente al 12° e 18° posto. Fa riflettere inoltre il caso della Disney, in termini del rischio che corre un brand nel prendere una posizione su tematiche politico/sociali: la compagnia ha perso oltre 10 posizioni per essersi apertamente schierata contro il disegno di legge “Don’t Say Gay” del governatore della Florida Ron DeSantis.

TikTok tra politica…

Se negli USA e in Europa TikTok sta affrontando difficoltà legate alle preoccupazioni sulla sicurezza nazionale, in Vietnam l’azienda controllata da ByteDance è invece coinvolta in una battaglia per la libertà di parola. Come riporta Rest of Worldil governo vietnamita sta infatti facendo pressione sull’app cinese affinché controlli i suoi contenuti in modo più rigoroso e rimuova i video che non rispettano gli “standard statali”, ventilando la minaccia di un divieto totale. Questa reazione deriva da un episodio particolare: nel marzo dello scorso anno, Huy Dao, un imprenditore di Ho Chi Minh City, aveva postato un video in cui criticava alcuni corsi di laurea che definiva “inutili”, come quello in economia aziendale. Il video, allora diventato virale, a marzo di quest’anno è tornato protagonista in vista delle iscrizioni all’università, dando vita a una tendenza online in cui i creator elencavano le scelte sui percorsi di laurea a detta loro “poco sagge”. In questa occasione i media statali vietnamiti hanno denunciato a gran voce il contenuto, chiedendo di prendere provvedimenti. Il governo ha affermato che il software statale di monitoraggio, sviluppato per controllare i contenuti dei social media, fatica a gestire le piattaforme di video brevi. Applicazioni come TikTok sono particolarmente difficili da monitorare perché i loro algoritmi forniscono agli utenti contenuti altamente personalizzati. Nonostante le minacce del governo vietnamita, a TikTok non è ancora stato posto un divieto.

…e intrattenimento

La presenza al Festival di Cannes rientra nell’obiettivo di TikTok di posizionarsi non solo come social media ma soprattutto come una delle migliori piattaforme di intrattenimento. Per il secondo anno consecutivo, il social cinese ha assegnato i propri premi cinematografici e i suoi giovani creator hanno intervistato, insieme ai giornalisti dei media tradizionali, le star del cinema. Quest’ultime, come scrive Taylor Lorenz sul Washington Post, hanno usato TikTok come piattaforma principale per documentare le loro avventure al Festival e, come se non bastasse, la cerimonia di apertura è stata trasmessa in live streaming direttamente sull’app. Il Festival di Cannes vede in questa collaborazione sia un mezzo per rivolgersi a un pubblico più giovane e internazionale, sia l’anteprima di quello che potrebbe essere il cinema di domani: una giovane star tedesca di TikTok con oltre 52 milioni di follower afferma che “Il cinema sta andando sempre più verso i video verticali”. Inoltre, negli ultimi mesi, nell’app stanno nascendo tendenze (alcune già virali) legate al cinema. Una delle più rilevanti consiste nel creare cortometraggi nello stile del regista Wes Anderson (vedi Editoriale 131).   

Urgente come il climate change

Affrontare la disinformazione come il climate change? Un gruppo di studiosi l’ha fatto organizzando un panel internazionale a Washington che ha coinvolto 200 ricercatori di 55 Paesi. L’obiettivo: parlare degli sviluppi dell’informazione digitale e studiare le cause e i rimedi alla disinformazione con lo stello livello di urgenza degli ambientalisti per il riscaldamento globale. Come riporta il New York Times, i ricercatori hanno messo in dubbio l’efficacia della moderazione dei contenuti nella lotta alle fake news online, sostenendo altre strategie in termini di fondatezza scientifica. La distorsione, la manipolazione e la disinformazione algoritmica sono diventate una minaccia globale ed esistenziale che esaspera i problemi sociali già esistenti, degrada la vita pubblica, paralizza le iniziative umanitarie e impedisce il progresso su altre gravi minacce, sostiene il gruppo. Negli Stati Uniti, gli sforzi per combattere la disinformazione si sono arenati sulle tutele del Primo Emendamento (libertà di parola). I risultati di una ricerca condotta su 4.798 pubblicazioni online suggeriscono che le risposte più efficaci alle fake news sono l’etichettatura dei contenuti come “disputed”, la segnalazione dei media statali e la pubblicazione di informazioni correttive, tipicamente sotto forma di debunking. Molto meno certa, secondo il rapporto, è l’efficacia degli sforzi pubblici e governativi per fare pressione sui giganti dei social media come Facebook e Twitter affinché eliminino i contenuti, nonché degli algoritmi interni alle aziende che sospendono o rimuovono gli account sospetti. Lo stesso vale per i programmi di alfabetizzazione mediatica che istruiscono le persone su come identificare le fonti di disinformazione. Al momento, il nuovo gruppo di ricerca non è interessato a un ruolo governativo. Ha in programma di pubblicare rapporti periodici, senza soffermarsi su ogni singolo caso, ma analizzando le forze più profonde che stanno dietro alla diffusione di notizie false, così che diventino strumenti per guidare la politica del governo.

Colmare il gap digitale

La corsa di Biden alla rielezione passa per il digitale. Ne scrive Axios, sottolineando come nel primo mese di campagna elettorale il presidente in carica abbia triplicato la spesa in pubblicità online sostenuta dal team di Trump nel 2023: in un mese sono stati spesi più di 2,4 milioni di dollari in ads di Facebook e Google, molti di più dei 600mila e dei 680mila dollari stanziati rispettivamente da Trump e DeSantis in un anno. L’obiettivo dell’inquilino della Casa Bianca è, infatti, da un lato attirare i piccoli donatori – risultati un target difficile durante le primarie democratiche in vista delle elezioni del 2020, dove altri candidati come Bernie Sanders ed Elizabeth Warren hanno raccolto più fondi – e, dall’altro, diminuire il vantaggio digitale di cui gode il suo predecessore. Infatti, nonostante il ban dai principali social network Trump gode di un seguito online maggiore di Biden – tranne che su Snapchat – e di Ron DeSantis, e possiede anche una sua piattaforma, Truth Social. E il digitale avrà un ruolo rilevante anche nella terza campagna del tycoon, sebbene al momento abbia investito diversi milioni di dollari in pubblicità in TV, il medium che rappresenta ancora la voce di spesa più significativa. La crescita dell’investimento nel digitale è però tutt’altro che trascurabile, perché questo strumento si è rivelato, per esempio, funzionale per la raccolta di dati degli utenti e di fondi. E, infine, la politica passa anche per la scelta di quali piattaforme usare: per Biden c’è il veto su Truth Social, mentre i repubblicani criticano i democratici per l’uso di TikTok. L’enorme investimento di Biden rispecchia perfettamente la sua nuova strategia mediatica (vedi Editoriale 127), basata sulla sempre minore influenza dei media tradizionali e l’intenzione di raggiungere un pubblico più giovane e “amico” che vive nei social media.

The Messenger già nei guai

The Messenger, una start-up di notizie fondata da Jimmy Finkelstein – ex co-proprietario di The Hill e The Hollywood Reporter -, sta vivendo un periodo turbolento, con diverse dimissioni alle porte. Come riportaThe New York Times, i fondatori dell’azienda fino a qualche mese fa dichiaravano che avrebbero assunto 175 giornalisti – molti dei quali in arrivo da testate come Politico e CNN – che si sarebbero occupati di intrattenimento e politica, e che avrebbero cambiato il giornalismo in meglio facendo “innamorare” di nuovo il pubblico dei media. A meno di una settimana dal debutto, però, le tensioni sono alte. E non solo per la decisione di esordire con un’intervista all’ex Presidente Trump: i giornalisti si sono scontrati con la richiesta di produrre una massa consistente di articoli anche a costo di “duplicare” storie già raccontate dai colleghi. Questo ha portato qualche giorno fa i caporedattori a riunirsi per affrontare le critiche provenienti da siti specializzati come Columbia Journalism Review, NiemanLab (Harvard) e The Wrap. Dan Wakeford, direttore di The Messenger, ha rassicurato i dipendenti sostenendo che servono mesi per costruire la credibilità di una nuova testata. 

La gentilezza come rimedio

Le storie sulla gentilezza possono contrastare gli effetti negativi causati dalle cattive notizie. Numerosi studi avevano già dimostrato come, durante la pandemia, l’esposizione costante a notizie di carattere negativo abbia avuto ripercussioni sulla salute mentale dei lettori. Ora, come riporta NiemanLab, una ricerca ha rilevato come le notizie positive, in particolare quelle che mostrano o narrano atti di gentilezza, possano effettivamente giovare alla salute mentale. Lo studio ha coinvolto 1800 partecipanti: alcuni hanno visionato solo notizie negative (atti di violenza, attentati, etc), ai rimanenti è stata mostrata la notizia negativa immediatamente seguita da una positiva (atti di eroismo, di filantropia, etc). Dal secondo gruppo è emerso un minor calo di umore e una maggiore fiducia nell’umanità in generale. La ragione è riscontrabile nel fatto che la gentilezza è un valore apprezzato universalmente e ricorda a ognuno la connessione che può avere con il prossimo. Assistere a un atto di gentilezza favorisce un senso di sollievo perché aumenta la “Catastrophe Compassion”, ossia l’idea che alla fine il bene avrà sempre la meglio sul male. Per quanto sia indispensabile la presenza di notizie negative, includere più contenuti positivi e con protagonista un atto gentile potrebbe non solo mitigare la tristezza o l’ansia generate dalle notizie non gradite ma anche aumentare la fiducia nelle persone, nei media e il piacere di informarsi.

*Storyword è un progetto editoriale a cura di un gruppo di giovani professionisti della comunicazione che con diverse competenze e punti di vista vogliono raccontare il mondo della comunicazione globalizzato e in costante evoluzione per la convergenza con il digitale. Storyword non è una semplice rassegna stampa: ogni settimana fornisce una sintesi ragionata dei contenuti più significativi apparsi sui media nazionali ed internazionali relativi alle tecniche e ai target di comunicazione, sottolineando obiettivi e retroscena. Per maggiori informazioni: www.storywordproject.com

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