Ridurre il capitalismo inquinante senza uccidere il benessere: la sfida dei nuovi economisti

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All’inizio è stato lo sviluppo sostenibile, la convinzione, nata a metà degli anni Sessanta, secondo cui crescita economica e ambiente potevano andare a braccetto. I risultati, però, sono sotto gli occhi di tutti: diseguaglianze in aumento esponenziale, così come le emissioni, mentre i fautori della decrescita acquistano spazio e credibilità tra esperti e opinione pubblica. Oggi una nuova generazione di economisti da un lato ammette il fallimento – e le ragioni di chi critica il capitalismo verde – dall’altro prova a rilanciare una riforma dall’interno del sistema. E una crescita “sana”.

Uno di loro è Alessio Terzi, economista alla Direzione generale per gli Affari Economici e Finanziari della Commissione Europea, docente all’Università di Cambridge e a Sciences Po a Parigi e autore del libro La crescita Verde. Il futuro dell’economia nell’era del cambiamento climatico (Edizioni ambiente).

Capitalismo di oggi, deludente e diseguale

La fotografia scattata dall’economista del nostro sistema economico attuale non è diversa da quella dei critici della crescita: senza mezzi termini, è deludente. “Il sistema attuale”, spiega, “sembra funzionare per pochi, non per molti, quindi accelera la concentrazione di ricchezza e potere. In secondo luogo, essendo alimentato da combustibili fossili, ha instradato l’umanità su un percorso che, se non rettificato, porterà al disastro climatico”.

Diseguaglianze e scarsa mobilità sociale, d’altronde, sono alcuni dei punti da cui si muovono i critici del capitalismo verde: l’impossibilità di disaccoppiare crescita e ambiente, il fallimento del Pil come misura della crescita (visto che esclude tutto ciò che ci interessa davvero). Elementi su cui riflettere ma che, secondo Terzi, “non dovrebbero portare all’abbandono della crescita stessa, con conseguenze molto più radicali”. I rischi sono evidenti: come si può in una economia in contrazione sostenere il welfare e un reddito minimo universale, visto che le risorse sarebbero minori? In un universo eco-socialista post crescita inoltre, sostiene Terzi, si porrebbe il problema concretissimo dei processi decisionali e della messa in discussione del concetto di libertà personale, con il pericolo di un governo illiberale e paternalistico.

Bisogni e desideri, distinguerli è impossibile

L’economista risponde anche alle giuste critiche dei fautori della decrescita rispetto all’obsolescenza programmata e al marketing pervasivo del sistema capitalistico attuale. Forme estreme di queste pratiche sono storture, ma “pensare di distinguere tra bisogni e desideri appare impossibile, anche perché i desideri sono bisogni psicologici legati al processo di costruzione dell’identità estremamente reali. E lo sono stati sempre, anche in passato, non in questo sistema capitalistico”, afferma. Anche vietare i beni di lusso potrebbe essere un boomerang, perché anche le prime automobili, i primi telefoni e televisori erano inizialmente costosi, ma poi i prezzi sono via via scesi.

La sfida è quella di ridurre la produzione di beni di consumo inquinanti senza far crollare molte altre cose che sostengono il benessere, “perseguire, cioè, un modello basato su una rapida transizione verde che favorisca la crescita ecologica, l’occupazione e l’innovazione tecnologica per l’adattamento al clima”.

Come arrivare a ciò? Tra le strade, c’è l’introduzione di una tassa sulle emissioni, per cui chi inquina paga. Oppure, l’attuazione di un sistema di “cape-and-trade”, ovvero fissare un livello massimo di emissioni di CO2 consentito all’anno, permettendo però lo scambio di permessi tra le aziende inquinanti (è l’Emissions Trading System europea). Insomma, con le giuste azioni politiche, tra cui l’eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili ma anche un sistema di regolamentazione robusto, “il capitalismo può essere reclutato come forza essenziale nella lotta contro il cambiamento climatico”.

C’è crescita e crescita

È su una posizione simile a quella del docente di Sciences Po anche lo psicologo ed economista norveges Per Espen Stoknes, che ha raccolto le sue posizioni nel libro L’economia di domani. Una guida per creare una crescita sana e green (Franco Angeli). Anche Stoknes parte da posizioni di critica dell’economia moderna: “Distrugge i suoli, acidifica agli oceani, scombussola il clima del Pianeta e stermina la fauna selvatica. Inoltre la maggior parte dei lavoratori non è invitata alla festa a cui partecipano i capitalisti, la maggior parte è tagliata fuori. Insomma sono profondamente critico nei confronti della crescita come viene intesa convenzionalmente, che affonda le sue radici nelle miniere di carbone, nel colonialismo, nei combustibili fossili, nello sfruttamento dei lavoratori e nella distruzione degli ecosistemi. Ma limitarsi a dire no alla crescita non è possibile”.

Secondo Per Espen Stoknes occorre uscire dall’alternativa crescita sì/no per focalizzarsi su quali tipi di crescita vale la pena contrastare e per quale invece battersi. Non tutti i tipi di crescita sono egualmente vantaggiosi e salutari e il rischio greenwashing è sempre dietro l’angolo, pronto a minare la fiducia nella sostenibilità. La proposta dell’economista norvegese è di compromesso: “Propongo di accelerare il più possibile la crescita, creando modelli di crescita autenticamente sani in tutte le economie di mercato che superino e sostituiscano la crescita opaca che abbiamo conosciuto fin troppo bene. La crescita economica è sana quando la creazione di valore prodotta da un qualunque attore utilizza le risorse in modo sufficientemente intelligente e in modo inclusivo”. La crescita sana produce profitti misurabili, un uso più produttivo delle risorse e maggiore redistribuzione della ricchezza. Inoltre, prevede al suo interno una nuova logica per la giustizia climatica: quando i Paesi più ricchi decarbonizzeranno a sufficienza in termini assoluti, “i paesi emergenti troveranno più spazio per crescere”.

Moltissimo, insomma, si può fare per rendere il mondo un posto migliore, dicono questi nuovi studiosi, senza abolire il mercato e cambiando le storture del sistema. D’altronde, conclude Terzi, “come potrebbe essere un mondo post-capitalistico è un’incognita per tutti. Esistono ragioni significative per prevedere un risultato molto più cupo e per dubitare che la gente abbracci spontaneamente la filosofia minimalista del ‘meno è meglio’. Chi sostiene che il sistema attuale vada abolito deve essere pronto a presentare un’alternativa”.

L'articolo Ridurre il capitalismo inquinante senza uccidere il benessere: la sfida dei nuovi economisti proviene da Il Fatto Quotidiano.

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