E’ un bel segnale in difesa del popolo inquinato, è un importante precedente per vicende analoghe sebbene in Italia forse non si sia bene compreso.
Con la sentenza della Corte di giustizia nella causa C-626/22 Ilva e altri la Corte ha affermato che se risultano pericoli per l’ambiente e la salute pubblica, l’attività del complesso siderurgico ILVA di Taranto dev’essere sospesa.
La sentenza Corte Giust. UE (Grande Sezione), 25 giugno 2024, C-626/22 ha deciso la domanda di pronuncia pregiudiziale, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale civile di Milano, con ordinanza del 16 settembre 2022 (qui i documenti processuali).
Nel settembre 2022 il Tribunale di Milano ha chiesto alla Corte di Giustizia europea una pronuncia pregiudiziale in relazione a una serie di ipotesi applicative della direttiva n. 2010/75/UE del Parlamento e del Consiglio del 24 novembre 2010 inerente le emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento), fra cui la valutazione del danno sanitario (VDS) e la possibilità di differimento (nel caso concreto più di 11 anni) della realizzazione di misure di riduzione dell’impatto inquinante pur in presenza di acclarati livelli di grave inquinamento.
La Regione Puglia è intervenuta a sostegno delle richieste del nucleo di residenti tarantini e l’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG) ha ritenuto fondamentale e doveroso intervenire anch’essa in giudizio in difesa del popolo inquinato.
Patrocinato e difeso dagli Avv.ti Carlo e Filippo Colapinto, del Foro di Bari, il GrIG è intervenuto in giudizio lo scorso 24 febbraio 2023, riscontrando l’accoglimento della richiesta da parte del Tribunale di Milano (ordinanza dell’1 marzo 2023). Il GrIG è intervenuto in giudizio anche davanti alla Corte di Giustizia europea a sostegno delle ragioni del popolo inquinato.
Nel gennaio 2024 era stato l’Avvocato generale presso la Corte di Giustizia europea Juliane Kokott ad argomentare una decisa posizione per la limitazione degli effetti inquinanti delle emissioni industriali, nel caso specifico del complesso ILVA di Taranto in amministrazione straordinaria: “nell’autorizzare un impianto e nel riesaminare un’autorizzazione devono essere considerate tutte le sostanze inquinanti emesse in quantità significativa che possono essere previste e il loro impatto sulla salute umana.
La Corte di Giustizia Europea ha evidenziato l’intrinseco collegamento tra la protezione dell’ambiente e quella della salute umana, ambedue obiettivi chiave del diritto dell’Unione, garantiti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: la direttiva in esame contribuisce al conseguimento di tali obiettivi e alla salvaguardia del diritto di vivere in un ambiente atto a garantire la salute e il benessere.
Secondo il Governo italiano, la direttiva non fa alcun riferimento alla valutazione del danno sanitario,mentre la Corte rileva che la nozione di «inquinamento» ai sensi di tale direttiva include i danni tanto all’ambiente quanto alla salute umana.
Pertanto, la valutazione dell’impatto dell’attività di un’installazione come gli impianti siderurgici ILVA su tali due aspetti deve costituire atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame dell’autorizzazione all’esercizio.
Il Tribunale di Milano è del parere che tale presupposto non sia stato rispettato per quanto riguarda il danno sanitario. Il gestore deve altresì valutare tali impatti durante tutto il periodo di esercizio della sua installazione. Inoltre, secondo il Tribunale di Milano, le norme speciali applicabili all’acciaieria ILVA hanno consentito di rilasciarle un’autorizzazione ambientale e di riesaminarla senza considerare talune sostanze inquinanti o i loro effetti nocivi sulla popolazione circostante.
La Corte di Giustizia afferma che il gestore di un’installazione deve fornire, nella sua domanda di autorizzazione iniziale, informazioni relative al tipo, all’entità e al potenziale effetto negativo delle emissioni che possono essere prodotte dalla sua installazione. Solo le sostanze inquinanti che si ritiene abbiano un effetto trascurabile sulla salute umana e sull’ambiente possono non essere assoggettate al rispetto dei valori limite di emissione nell’autorizzazione all’esercizio.
La Corte afferma che – contrariamente a quanto sostenuto dall’ILVA e dal Governo italiano, il procedimento di riesame non può limitarsi a fissare valori limite per le sostanze inquinanti la cui emissione era prevedibile., ma bisogna tener conto anche delle emissioni effettivamente generate dall’installazione nel corso del suo esercizio e relative ad altre sostanze inquinanti.
In caso di violazione delle condizioni di autorizzazione all’esercizio dell’installazione, il gestore deve adottare immediatamente le misure necessarie per garantire il ripristino della conformità della sua installazione a tali condizioni nel più breve tempo possibile.
In caso di pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana, il termine per applicare le misure di protezione previste dall’autorizzazione all’esercizio non può essere prorogato ripetutamente e l’esercizio dell’installazione deve essere sospeso, senza far ricorso a normative elusive.
La causa in corso davanti al Tribunale di Milano è stata avviata, con grande coraggio, da un gruppo di residenti tarantini nel 2021.
Han chiesto in sede giudiziaria una migliore qualità della vita mediante un’azione inibitoria collettiva (art. 840 sexiesdecies cod. proc. civ.) davanti al Tribunale civile di Milano, chiedendo in via principale la chiusura o cessazione dell’attività della c.d. area a caldo degli impianti ex ILVA, in via subordinata la chiusura o cessazione dell’attività delle cokerie. In via ancora subordinata, è stata chiesta la cessazione dell’attività produttiva fino al puntuale rispetto delle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA), nonché, in ogni caso, la predisposizione di un piano industriale che preveda l’abbattimento del 50% delle emissioni di gas serra entro il 2026.
Ora è giunta da parte della Corte di Giustizia Europea la pronuncia pregiudiziale richiesta che apre la strada alla conseguenziale pronuncia del Tribunale di Milano con la fondata speranza di poter aiutare i tarantini a ottenere quella migliore qualità della vita che attendono da fin troppo tempo.
La Corte ricorda che “spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile”.
Si tratta, quindi, di un fondamentale precedente giurisprudenziale valido per tutti i casi analoghi.
Ma è in primo luogo una pietra miliare per Taranto.
Infatti, il disastro ambientale e sanitario determinato dal perdurante inquinamento degli impianti industriali siderurgici è ben noto in ambito internazionale, sotto gli occhi di tutti.
Ne è stato l’artefice il complesso siderurgico ILVA s.p.a., oggi, dopo anni di crisi industriale e di amministrazione controllata, divenuto Acciaierie d’Italia s.p.a.
Maestranze e residenti di Taranto ne hanno subìto e ne subiscono le pesantissime conseguenze da decenni.
Giustizia finora ve n’è stata ben poca, disinquinamento ambientale e recupero della qualità della vita forse meno.
Basti pensare quanto si affermava nelle aule giudiziarie fin dal 2012, precisamente in Tribunale di Taranto, sez. feriale, in sede di riesame, 20 agosto 2012, n. 98/12 (ord.).
Nei 13 anni esaminati (1998-2010), secondo le stime peritali, nei due quartieri tarantini di Tamburi e Borgo sono stati causati dall’inquinamento dell’ILVA ben 386 decessi totali, in gran parte per cause cardiache (30 all’anno), 237 casi di tumore maligno (18 all’anno), 247 eventi coronarici (19 all’anno) e 937 casi di malattie respiratorie (74 all’anno), in gran parte della popolazione infantile (638 casi totali, 49 all’anno). A Taranto, sempre secondo i periti, la mortalità, per patologie tumorali e del sistema cardiocircolatorio, per malattie ischemiche e dell’apparato respiratorio, è “più alta rispetto alla Puglia”, mentre per la mortalità infantile si registra “un eccesso, soprattutto con riferimento alle malattie respiratorie acute al di sotto dell’anno di età, oltre che a quelle tumorali”.
Pesanti le conseguenze per la salute dei lavoratori del siderurgico che nello stesso periodo hanno accusato malattie respiratorie e tumorali non da asbesto: “tale evidenza può essere collegata all’esposizione dei lavoratori Ilva a cancerogeni ambientali diversi dall’asbesto, in particolare Ipa (idrocarburi policiclici aromatici, n.d.r.) e benzene”.
Le conclusioni peritali erano lapidarie: l’Ilva ha provocato “malattia e morte”.
Il 31 maggio 2021 la Corte d’Assise di Taranto si pronunciava con una sentenza che stabiliva nette responsabilità per il grave disastro ambientale e sanitario a carico di industriali, amministratori e funzionari pubblici, imprenditori.
Tuttavia, i promessi interventi di abbattimento delle emissioni inquinanti e del risanamento ambientale tuttora stentano a veder la luce.
A Taranto continuano “malattia e morte”ed è ora, finalmente, di voltare pagina.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
qui la sentenza Corte Giust. UE (Grande Sezione), 25 giugno 2024, C-626/22.
queste le conclusioni della Corte di Giustizia Europea
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) La direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento), letta alla luce dell’articolo 191 TFUE e degli articoli 35 e 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
deve essere interpretata nel senso che:
gli Stati membri sono tenuti a prevedere che una previa valutazione degli impatti dell’attività dell’installazione interessata tanto sull’ambiente quanto sulla salute umana costituisca atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame di un’autorizzazione all’esercizio di una tale installazione ai sensi di detta direttiva.
2) La direttiva 2010/75 deve essere interpretata nel senso che:
ai fini del rilascio o del riesame di un’autorizzazione all’esercizio di un’installazione ai sensi di tale direttiva, l’autorità competente deve considerare, oltre alle sostanze inquinanti prevedibili tenuto conto della natura e della tipologia dell’attività industriale di cui trattasi, tutte quelle oggetto di emissioni scientificamente note come nocive che possono essere emesse dall’installazione interessata, comprese quelle generate da tale attività che non siano state valutate nel procedimento di autorizzazione iniziale di tale installazione.
3) La direttiva 2010/75 deve essere interpretata nel senso che:
essa osta a una normativa nazionale ai sensi della quale il termine concesso al gestore di un’installazione per conformarsi alle misure di protezione dell’ambiente e della salute umana previste dall’autorizzazione all’esercizio di tale installazione è stato oggetto di ripetute proroghe, sebbene siano stati individuati pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana. Qualora l’attività dell’installazione interessata presenti tali pericoli, l’articolo 8, paragrafo 2, secondo comma, di detta direttiva esige, in ogni caso, che l’esercizio di tale installazione sia sospeso.
(foto da http://www.gettyimages.com, A.N.S.A., da mailing list ambientaliste, S.D., archivio GrIG)