Teatro e città, il Piccolo guida un progetto europeo

1 year ago 46

La città dopo la pandemia, la funzione del teatro nella società e per la comunità, la necessità di immaginare insieme secondo una prospettiva sostenibile: è firmato dal Piccolo Teatro il progetto vincitore di Creative Europe.
Sotto il titolo ‘Unlock the City!’, si snoda un programma che sarà insieme di pratiche artistiche, di ricerca e di formazione, e che coinvolge 7 partner e 6 Paesi europei. Per l’Italia, a fianco del Piccolo si trova il Politecnico, dal momento che il lavoro ha a che vedere sì con il teatro ma necessariamente con la sua dimensione sociale, nell’architettura della città e del paesaggio.
Gli altri partecipanti sono il Teatro Lliure di Barcellona, il Teatrul Tineretului di Piatra-Neamt in Romania, il Toneelhuis di Anversa, l’Ǿstfold University College & Norwegian Theater Academy di Fredrikstad (Norvegia), l’Academy of Performing Arts di Praga.

Claudio Longhi, direttore Piccolo Teatro (foto Jacopo Buora)

Il Piccolo e la sostenibilità

Impegnato in diverse iniziative legate alla sostenibilità, il Piccolo Teatro – che ha aderito al Green Deal europeo – lancia adesso l’impegno triennale di ‘Unlock the City!’. Sottotitolo: ‘Il teatro come strumento per ripensare il paesaggio nella città post pandemica’.
Nato nel periodo fra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, quando si stava lentamente uscendo dalla pandemia e le sale erano ancora chiuse, il progetto vuole essere una riflessione ‘sostenibile’ su come il teatro si possa relazionare con gli sconvolgimenti antropologici, sociologici ma anche naturalistici prodotti dal Covid.
“La questione di fondo è: come è cambiato l’immaginario urbano a seguito dell’esperienza del lockdown? La nostra percezione della città è mutata?”, interroga il direttore del Piccolo Teatro Claudio Longhi.

Il teatro e la città

Longhi guarda lontano. Indietro nel tempo, pensa agli anfiteatri greci, all’Olimpico di Vicenza e a come ogni epoca abbia costruito teatri in cui rifletteva il proprio concetto di società. Ma guardare lontano significa anche guardare avanti: se l’idea di città nel post Covid sta cambiando, come sarà (e come potrà contribuire) il teatro del futuro?
“Desiderio consegnare riflessioni e possibilità operative a chi di città si deve occupare, per comprendere come l’esperienza teatrale può essere tesaurizzata per altro. Il Piccolo è nato come ‘Teatro d’arte per tutti’: la relazione fra pratica teatrale e consorzio civile è nel nostro Dna. E la domanda sottotraccia che oggi facciamo è: a che cosa serve il teatro?”, prosegue Longhi, presentando il progetto.

Il ‘limite’ del progetto

Individuate le premesse teoriche, ‘Unlock the City!’ entra poi in azione individuando un tema su cui i diversi partner si ‘eserciteranno’, ognuno secondo proprie linee.
Il tema è il limite. Un “orizzonte di riferimento” per guardare alle trasformazioni dell’immaginario urbano “attraverso una prospettiva di interazioni fra pratiche teatrali e paesaggio”, dice Longhi.
L’esplorazione del limite poggia su 3 gambe.
Una sono le pratiche teatrali: alla fine del progetto, ci saranno 12 nuove performance. Tre di queste saranno messe a punto dal Piccolo con alcuni suoi artisti associati (Davide Carnevali, Marta Cuscunà e il collettivo Sotterraneo), e la prima andrà in scena già questo autunno.
C’è poi un lavoro di ricerca interdisciplinare, cui collaboreranno insieme pratica artistica e discorso scientifico.
Il terzo punto è la formazione, rivolta a chi lavora nel teatro ma anche a tutti i potenziali fruitori del progetto.

Antonio Longo, Politecnico Milano (foto Jacopo Buora)

La partnership con il Politecnico

“L’Europa chiede che un progetto non nasca già con le risposte in tasca, ma apra un processo di ricerca”, spiega Longhi.
Il progetto milanese si avvale come partner del Politecnico di Milano. Si tratta infatti di indagare sulla percezione dello spazio pubblico e del diritto di accesso (ricordate quando i cancelli dei parchi erano chiusi per ragioni per paura dei contagi?), sul rapporto esterno-interno.
Spiega Antonio Longo, docente di Disegno del piano e Disegno urbanistico nella Facoltà di Architettura del Politecnico: “Il paesaggio non è l’immagine rassicurante del verde o di condizioni liete, ma ha a che fare con l’ecologia, anche con situazioni di conflitto. È un contesto vivo, cangiante, che include sia l’aspetto naturalistico sia quello civile. In questo senso è uno spazio di immaginazione e progetto in continua evoluzione”.

Milano, il parco

Un paesaggio inteso quindi non solo dal punto di vista naturalistico, ma anche da quello sociale e delle istanze umanistiche.
‘Unlock the City!’ a Milano si focalizzerà allora sul parco pubblico, e su un’area specifica della città, quella sudorientale, fra Corvetto, Chiaravalle e Porto di mare. Una zona complicata (da queste parti c’è anche il famigerato boschetto di Rogoredo) dove – dice Longo – “prima bisogna entrare e comprendere”, ascoltare chi ci lavora, associazioni come gestori di locali e chioschi. Senza la presunzione di risolvere immediatamente i problemi. Partendo non dalle risposte ma dalle domande, come arte e scienza sempre insegnano

Da sinistra, in prima fila: Davide Carnevali, Antonio Longo, Claudio Longhi, Juan Carlos Martel, Kristel Marcoen
(foto Jacopo Buora)

Romania, la formazione

Gianina Carbunariu, spiega che il Tineretului di Piatra-Neamt di cui è direttrice artistica ha scelto un altro tema legato al limite: “Abbiamo deciso di concentrarci sul liceo, il nostro è il Teatro della gioventù, non solo per i giovani ma fatto dai giovani, che ha come principale pubblico gli adolescenti e coinvolge i ragazzi in tanti modi, anche come assistenti nelle produzioni. La formazione con la pandemia è diventata centrale, noi ci chiediamo come il teatro può partecipare a questo tema”.
Aggiunge poi Gianina: “Noi abbiamo bisogno di diventare necessari per la nostra comunità. La pandemia ci ha trattato come una categoria di lavoratori non essenziali, adesso dobbiamo far capire perché gli artisti sono indispensabili, quanto sia utile il ruolo della cultura e del teatro”.

Juan Carlos Martel, direttore Lliure Barcellona (foto Jacopo Buora)

Spagna, luci e ombre

Juan Carlos Martel, direttore del Lliure, dice: “A Barcellona presenteremo il progetto 24/7. Partiamo dalla riflessione su come l’elettricità ha fatto cambiare i nostri usi, ha reso i cittadini iper connessi, con la conseguenza che le città rischiano di diventare non sostenibili. Lavoreremo sugli spazi e sui corpi. L’elettricità arriva da noi nel 1929, con l’Esposizione universale, che si svolge nello stesso luogo in cui adesso si trova il Teatro Lliure. È passato un secolo, e noi abbiamo costruito la nostra vita attraverso la luce artificiale, siamo una società che non sa fermarsi ma che presenta anche zone buie, una città che non dorme, che si occupa dei corpi e della salute di altri. Il Covid ha ‘illuminato’ queste ombre, sulla salute e la società. Anche questo è sostenibilità, il sostenerci fra di noi”.

Da sinistra: Serge Von Arx, dell’università Hiof, il regista e autore Davide Carnevali, il professore Antonio Longo,
il direttore del Piccolo Teatro Claudio Longhi (foto Jacopo Buora)

Norvegia, da tutto il mondo

Serge Von Arx, del norvegese Hiof, università delle Arti e dello spettacolo, suggerisce: “Parliamo di spazio pubblico come di qualcosa che tutti conosciamo, ma sono spazi molto diversi: a Tokyo, Milano o altrove il termine ha significati diversi. Una volta il legame fra teatro e città era stretto, molti spazi venivano pensati secondo un’idea di teatralità, mentre oggi gli architetti li concepiscono solo nella loro funzionalità: come colmare questa separazione? Lo scopo dei nostri laboratori sarà concepire il teatro come spazio pubblico. Con l’aiuto degli studenti della nostra Academy, che arrivano da tutti i continenti e ci permettono così di indagare le diverse culture, necessità, e come si relazionano gli spazi pubblici”.

I protagonisti di ‘Unlock the City!’ (foto Jacopo Buora)

Belgio, il teatro in esterni

Kristel Marcoen, project manager del Toneelhuis di Anversa: “Il nostro è un bellissimo teatro all’italiana dell’Ottocento. In pandemia ci siamo inventati attività nella città, performance improvvisate. Adesso vogliamo pensare ad attività nello spazio urbano, spettacoli concepiti specificamente con la partecipazione dei cittadini stessi”.

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