dI Gilbert Achcar
La tregua a Gaza e i dilemmi di Netanyahu e Hamas
Dalla fine della scorsa settimana, le notizie relative alla guerra genocida in corso nella Striscia di Gaza sono state oscurate dal progetto di tregua che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato venerdì, attribuendolo a “Israele” senza specificare quale organo di governo israeliano lo avesse approvato. I commentatori dei media hanno trovato piuttosto strano che una proposta israeliana sia stata annunciata dal Presidente degli Stati Uniti invece che da fonti ufficiali israeliane. La confusione è aumentata quando il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu è sembrato voler prendere le distanze dal progetto ribadendo condizioni che apparentemente lo contraddicevano o lo complicavano, la più importante delle quali è la sua insistenza nel continuare l’assalto fino a quando le capacità militari e politiche di Hamas non saranno completamente eliminate e il controllo della sicurezza israeliana sull’intera Striscia sarà assicurato.
La verità è che questa apparente confusione riflette un vero e proprio stato di caos che c’è principalmente intorno a Netanyahu stesso. Questo perché il leader sionista è preso tra due fuochi: le pressioni statunitensi sostenute dall’opposizione israeliana e da un gruppo all’interno del suo stesso partito, il Likud, guidato dal ministro della “Difesa” Gallant, e le contropressioni esercitate dagli alleati di Netanyahu nell’estrema destra sionista. Qual è la natura di queste due pressioni opposte?
Cominciamo dalla pressione dei due blocchi “neonazisti” con cui Netanyahu si è alleato un anno e mezzo fa per ottenere la maggioranza alla Knesset che gli ha permesso di tornare al potere. È noto che questi due blocchi ritengono che non abbia senso concludere alcun accordo con Hamas, anche se temporaneo, e che l’obiettivo della guerra in corso debba essere quello di far sì che lo Stato sionista si impadronisca dell’intera Striscia di Gaza e la annetta al suo territorio come parte di “Eretz Israel” (la Terra di Israele) tra il fiume e il mare (Questo è diventato l’obiettivo comune dell’estrema destra sionista dopo che è stata costretta a ridimensionare il progetto della “Grande Israele” fermandolo ai confini del Sinai a sud e del fiume Giordano a est, mentre si è espansa a nord fino alle alture del Golan e ha desiderato parte del Libano meridionale). I leader dell’estrema destra sionista aspirano a deportare i gazawi dalla Striscia di Gaza – o a incitarli a lasciarla “volontariamente”, come sostengono con sfacciata ipocrisia – e a sostituirli con coloni ebrei. Inoltre, considerano questo obiettivo più importante della vita dei prigionieri ancora detenuti da Hamas e da altre fazioni palestinesi a Gaza.
D’altro canto, le due principali ali politiche dell’imperialismo statunitense ritengono che gli interessi del loro Stato si realizzino con la formazione di un’alleanza militare regionale che includa lo Stato sionista e gli alleati arabi di Washington, ovvero, dall’Oceano al Golfo: il Regno del Marocco, l’Egitto, il Regno dell’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e altre monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo, nonché il Regno hashemita di Giordania. Si tratta di un progetto per il quale Donald Trump si è impegnato a fondo quando era alla Casa Bianca, e i suoi sforzi sono stati proseguiti dal suo successore, Biden, che è stato quasi indistinguibile da lui per quanto riguarda il “Grande Medio Oriente”. La realizzazione di questo progetto richiede tuttavia una “soluzione” della questione palestinese basata sull’istituzione di uno “Stato palestinese” che gli dia il suo appoggio, ingannando così l’opinione pubblica araba (nella convinzione dei governi interessati).
Per quanto riguarda il destino di Gaza secondo questa visione, si tratterebbe di un ritorno a quanto emerso dagli accordi di Oslo, ossia un’Autorità palestinese incaricata di gestire le aree palestinesi densamente popolate, mentre l’esercito sionista circonda queste aree e le sorveglia dal punto di vista della sicurezza in aggiunta alla suddetta autorità. Ma l’esperienza ha dimostrato che un’Autorità palestinese che collabora con l’occupazione non è in grado di controllare da sola la resistenza popolare. I funzionari statunitensi e i loro alleati arabi concordano anche sul fatto che l’attuale Autorità con sede a Ramallah non è in grado di impedire ad Hamas di riprendere il controllo di Gaza se l’esercito sionista si ritira dalle aree popolate della Striscia. Ritengono quindi che la soluzione ideale sarebbe quella di dispiegare una “forza di pace” araba in quelle aree popolate, una forza su cui l’Autorità palestinese che collabora con l’occupazione potrebbe contare per controllare la popolazione. Citando fonti occidentali, il Financial Times ha rivelato che tre Paesi arabi hanno espresso la volontà di inviare forze a Gaza: Egitto, Marocco ed Emirati Arabi Uniti.
Biden ha bisogno di una tregua che potrebbe attribuire agli sforzi della sua amministrazione di fronte all’opinione pubblica statunitense, soprattutto tra gli elettori tradizionali del Partito Democratico, al fine di limitare la perdita elettorale che probabilmente subirà in alcuni ambienti. La sua amministrazione ha compiuto ampi sforzi per persuadere il gabinetto di guerra israeliano istituito dopo l’operazione “Diluvio di Al-Aqsa”, ad accettare un secondo progetto di tregua, la cui prima fase consiste in un cessate il fuoco di sei settimane durante il quale sarebbero stati rilasciati, come di consueto, un certo numero di prigionieri israeliani e un numero maggiore di detenuti palestinesi, oltre al ritiro dell’esercito sionista dalle aree densamente popolate di Gaza (come stabilito dagli accordi di Oslo). Queste aree sono state in realtà significativamente ridotte, poiché la maggior parte dei gazawi è sfollata e confinata in aree di rifugio ristrette.
Sebbene il progetto preveda una seconda fase durante la quale verrebbero rilasciati i restanti prigionieri israeliani e un ulteriore gruppo di detenuti palestinesi, Netanyahu ha pubblicamente dissentito dalla promessa del progetto di un ritiro completo di Israele da Gaza durante questa stessa fase, sottolineando di non averlo mai accettato e che l’esercito sionista non avrebbe posto fine alla guerra prima di aver garantito la completa eliminazione del potenziale di Hamas nella Striscia. Ciò che Biden e i membri del gabinetto di guerra sionista vogliono veramente, tuttavia, non è altro che una tregua temporanea che porti al rilascio di tutti i prigionieri israeliani, tranne i soldati maschi, in modo da poter affermare di fronte all’opinione pubblica di aver fatto tutto il possibile per salvare coloro che potevano essere salvati. Il resto sarà considerato come parte del normale costo della guerra che i soldati sono disposti a pagare quando si arruolano nelle forze armate. I membri del gabinetto di guerra sanno che il completamento dell’occupazione dell’area di Rafah comporterà probabilmente la morte dei prigionieri che costituiscono l’ultima carta nelle mani della leadership di Hamas all’interno della Striscia di Gaza. Vogliono quindi ridurre il numero di questi prigionieri a quello che l’opinione pubblica israeliana può accettare.
Per quanto riguarda questa seconda fase del progetto e la terza (ricostruzione della Striscia di Gaza), non saranno raggiunte perché la tregua non andrà oltre la prima fase, che è ciò che ha convinto Netanyahu ad accettare il progetto in primo luogo – anche se con riluttanza, perché sapeva che i suoi alleati di estrema destra non l’avrebbero accettato. Questo è il motivo del disordine e della confusione emersi negli ultimi giorni, nel momento in cui Netanyahu sta cercando di convincere i suoi alleati a non rompere l’alleanza con lui e a ritirare il sostegno dei loro blocchi alla sua premiership, costringendolo così a fare affidamento sull’opposizione, sia che si tratti del partito di Gantz, che ha aderito al gabinetto di guerra, sia che si tratti del partito di Lapid, che ha rifiutato di aderirvi. I due partiti si sono detti disposti a sostenere la permanenza di Netanyahu nella sua posizione fino alle prossime elezioni parlamentari se accetterà la tregua e dietro di essa il progetto di insediamento basato sul coinvolgimento delle forze arabe con quelle sioniste nel controllo della sicurezza della Striscia di Gaza.
È una scelta difficile quella che Netanyahu si trova ad affrontare oggi, inevitabile risultato del suo affidarsi a due gruppi estremisti, rispetto ai quali lo stesso Partito Likud, nonostante le sue radici fasciste, appare “moderato”. È una scelta altrettanto difficile, se non di più, quella che stanno affrontando i leader di Hamas all’interno della Striscia di Gaza, ai quali viene chiesto di rinunciare alla loro ultima carta per garantirsi la sopravvivenza, in cambio di qualche settimana di tregua accompagnata da un massiccio ingresso di aiuti, necessari per evitare la morte di un ulteriore gran numero di gazawi, bambini in particolare.
La versione italiana si basa sulla traduzione dall’originale arabo pubblicato su Al-Quds al-Arabi il 4 giugno 2024 in inglese fatta dall’autore. Qui la versione inglese: https://gilbert-achcar.net/truce-and-dilemmas-in-gaza