Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):
Nei giorni scorsi Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, è stato a Marghera. Anche alla Fincantieri. Non succede spesso che vada per fabbriche, ha incombenze ben più rilevanti. Cos’è venuto/andato a fare? A conti fatti, a marcare il cartellino, e assicurarsi che l’ambiente sia calmo (lo è, purtroppo). Non si può escludere che lui e i burocrati locali della CGIL abbiano fatto questo insolito giretto a seguito del nostro corteo del Primo Maggio a Marghera – una storica cittadella operaia, dove non si tenevano cortei da tempi immemorabili. Un corteo che si era concluso proprio davanti alla Fincantieri, denunciando questa multinazionale di stato sia come pilastro dell’industria bellica italiana ed europea, sia come laboratorio di super-sfruttamento del lavoro degli immigrati (dall’Asia, dall’Africa, dall’Est Europa, e dal Sud dell’Italia) attraverso la catena degli appalti e dei sub-appalti.
Dunque: Landini in visita medica di controllo, a domicilio. Un po’ di tempo passato in azienda per un’assemblea in cui la quasi totalità dei presenti erano lavoratori diretti Fincantieri, con appena una pizzicata di delegati delle pochissime ditte degli appalti con un minimo di sindacalizzazione. Solite parole di circostanza, per giunta imprecise: “Fincantieri: una realtà in cui i contratti di appalto sono quasi più di quelli dei dipendenti”. Quasi? A seconda delle fasi di lavorazione delle navi il rapporto tra dipendenti diretti e operai degli appalti e dei subappalti è di 1 a 2,5 fino a 1 a 4. Altrettanto abituali le “buone” intenzioni: “Vogliamo mettere in campo ogni azione contrattuale e sindacale perché questi lavoratori [i lavoratori degli appalti e dei sub-appalti] abbiano gli stessi diritti e tutele degli altri”, anche sulla sicurezza. Peccato che per trasformare queste belle parole in fatti ci vorrebbero lotte dure, scioperi duri e prolungati, che la CGIL non si sogna minimamente di organizzare, perché sa che produrrebbero un pesante danno materiale per Fincantieri, dal momento che la compressione brutale del costo del lavoro è, per Fincantieri, un fattore decisivo di competitività a livello internazionale. E per il sindacalismo di stato l’interesse aziendale e quello nazionale vengono prima delle necessità operaie. La stessa gerarchia razziale è intoccabile: in questo stabilimento, come in tutti gli stabilimenti Fincantieri, il premio di produzione, il cui raggiungimento dipende in larghissima misura dal lavoro degli immigrati degli appalti e dei sub-appalti, va solo ai dipendenti diretti Fincantieri, nella quasi totalità italiani.
Il punto di arrivo di questa scontata recita landiniana è il seguente: “C’è bisogno di una battaglia culturale per riaffermare una moralità etica di fare impresa, politica e sindacale”. Non una battaglia vera fatta di scioperi e blocco della produzione, bensì una “battaglia” delle idee per far entrare nella zucca dei padroni e dei manager, notoriamente aperti ad una simile possibilità, “una moralità etica di fare impresa”. Rileggete la frase: una moralità etica di fare impresa… A proposito di “moralità”, credete che Landini abbia fatto il minimo accenno alla funzione-chiave che ha Fincantieri nell’industria della guerra, tra l’altro proprio alla vigilia della acquisizione da Leonardo di Wass, l’azienda che a Livorno e a Pozzuoli produce siluri e sistemi radar? Zero. A Landini non risulta niente di tutto ciò.
Del resto era appena reduce dalla manifestazione del Primo Maggio a Monfalcone, che aveva come parola d’ordine “per un’Europa di pace, lavoro e giustizia sociale”. Lì CGIL e UIL si sono riappacificate con la CISL del figuro Sbarra, che non intende muovere foglia contro il governo Meloni. E in una città di brutali discriminazioni contro i lavoratori immigrati, dominata dalla presenza di Fincantieri, sono riusciti a biascicare le solite insipide litanie contro la precarietà in generale (in astratto) e le mance elettorali del governo. E Fincantieri? E le discriminazioni contro gli immigrati bengalesi della sindaca leghista Cisint, assatanata di anti-islamismo? Nulla di nulla. Loro “volano alto”. Propagandano un’Europa potenza “di pace” (??) e modello di “giustizia sociale” (??). Sciovinisti e, tacendo accuratamente sulla corsa della loro Europa alla guerra, bellicisti. Ha avuto ragione la leghista Cisint a dirsi onorata della loro presenza. Folgiero (ad Fincantieri) e Cingolani (ad Leonardo) possono dormire sonni tranquilli. Così pure Meloni e Crosetto.
Per quanto ci riguarda, non dimentichiamo certo il ruolo disfattista che Landini svolse contro l’ultima grande lotta operaia avvenuta alla Fincantieri di Marghera a fine luglio 2013, quando un piccolo gruppo di delegati combattivi della FIOM e il Comitato di sostegno ai lavoratori Fincantieri da noi animato bloccammo per tre giorni l’intero stabilimento contro l’introduzione del sabato lavorativo obbligatorio. “Vedetevela voi”, sentenziò Landini, sono “affari vostri, non della FIOM nazionale, e neppure di quella provinciale”. Noi la battaglia al padrone la demmo, anche senza Landini, e finì momentaneamente con un compromesso onorevole. Questo è stato l’ultimo sciopero operaio continuato in una grande impresa in Italia! – lo ricordiamo con orgoglio a certi smemorati. Erano gli anni in cui una sinistra smidollata sognava il parolaio Landini a capo di una “coalizione” di sinistra, o addirittura alla guida di un “partito del lavoro”. E a noi che irridevamo ad una simile ipotesi, spettava naturalmente la parte dei grilli parlanti, gli “ideologici” che non sanno rapportarsi alla classe operaia e alla realtà – solo perché la “realtà” è quella della stasi, della passività operaia. Il tempo, però, non ci ha dato certamente torto.
Il Primo Maggio 2024 siamo tornati in corteo ai cancelli di Fincantieri, insieme un centinaio di operai immigrati degli appalti che hanno sfilato con noi. Ci torneremo anche dentro. Poco, ma sicuro.
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